Due concerti di paganini

N.1 in re maggiore
N.2 in si minore
Royal Philarmonica Orcchestra
Yehudi Menuhim violinista.

Scarica qui i concerti di Paganini

Niccolò Paganini, o Nicolò (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840), è stato un violinista, compositore e chitarrista italiano.

Continuatore della scuola italiana di Pietro Antonio Locatelli e di Gaetano Pugnani, è considerato uno fra i maggiori violinisti dell’Ottocento, sia per la padronanza dello strumento, sia per le innovazioni apportate in particolare allo staccato e al pizzicato.

La sua attività di compositore fu legata a quella di esecutore, in quanto trovava innaturale eseguire musiche sulle quali non aveva un completo controllo.

Nato a Genova nel 1782 da una modesta famiglia originaria di Carro (SP), il padre Antonio faceva imballaggi al porto ed era appassionato di musica. Con la madre Teresa, abitavano in Vico Fosse del Colle, al Passo della Gatta Mora, un caruggio di Genova.
Fin dalla più giovane età Niccolò apprese dal padre le prime nozioni di musica sul mandolino e, in seguito, fu indirizzato sempre dal padre allo studio del violino. Non a torto il Paganini è considerato autodidatta, in quanto i suoi due maestri furono di scarso valore e non ricevette che una trentina di lezioni di composizione da Gaspare Ghiretti. Malgrado ciò, all’età di 12 anni, già si faceva ascoltare nelle Chiese di Genova e diede un concerto nel 1795 al teatro di Sant’Agostino, eseguendo delle sue variazioni sull’aria piemontese “La Carmagnola”, per chitarra e violino, andate perdute, finché il padre lo condusse a Parma nel 1796, all’età di 14 anni. A Parma, Niccolò si ammalò di polmonite che venne curata col salasso, che lo indeboliva e lo costrinse ad un periodo di riposo nella casa paterna a Romairone, in val Polcevera, vicino a San Quirico. Qui arriva a studiare fino a 10-12 ore al giorno su un violino costruito dal Guarneri [1], regalato da un ammiratore di Parma. Paganini imitava i suoni naturali, il canto degli uccelli, i versi degli animali, i timbri degli strumenti, come il flauto, la tromba e il corno. Dopo diede dei concerti nell’Italia Settentrionale e in Toscana. Raggiunta una portentosa abilità, andò di nuovo in Toscana, dove ottenne le più clamorose accoglienze.

Nel 1801, all’età di 19 anni, interruppe la propria attività di concertista, e si dedicò per qualche tempo all’agricoltura e allo studio della chitarra.

In breve tempo diventò virtuoso anche di chitarra e scrisse molte sonate, variazioni, e concerti non pubblicati; insoddisfatto si mise a scrivere sonate per violino e chitarra, trii, quartetti in unione agli strumenti ad arco.

Paganini scriveva per chitarra a sei corde che in quel periodo soppiantò quella “spagnola” a nove corde (quattro doppie e una singola nella parte alta detta cantino) e questo spiega il suo estro negli scoppiettanti pizzicati sul violino.

Alla fine del 1804, all’età di 22 anni, riapparve a Genova ma tornò a Lucca, l’anno successivo, dove accettò il posto di primo violino solista alla corte della principessa Elisa (detta Marianna) Baciocchi, sorella di Napoleone. Quando la corte si trasferì a Firenze nel 1809 Paganini la seguì, ma per un banale incidente se ne allontanò e non volle più tornarvi, malgrado i numerosi inviti. A Torino, fu invitato a suonare nel castello di Stupinigi da un’altra parente di Napoleone, Paolina Borghese.

Riconoscimento ufficiale
Nella sua vita, Paganini percorse l’Italia tre volte, facendosi applaudire in numerose città. La prima di queste città fu Milano, dove era particolarmente amato, nel 1813, a 31 anni, il 29 ottobre, al teatro Carcano, i critici lo acclamarono primo violinista al mondo. Qui nel giro di diversi anni diede 37 concerti, in parte alla Scala e in parte al Carcano.

Nel marzo 1816 trionfò nella sfida lanciatagli da Charles Philippe Lafont e due anni dopo ripeté il trionfo in confronto con Karol Lipiński. Strinse amicizia con Gioachino Rossini e con Louis Spohr. Nel 1817, a 35 anni suonò a Roma, suscitando una tale impressione che il Metternich lo invitò a Vienna. Ma fin da allora, le precarie condizioni di salute, gli impedirono di realizzare subito quel progetto.

Invece andò al Sud, a Palermo, dove nel 1825, vide la luce Achille, il figlio avuto con una cantante del coro, Antonia Bianchi. Paganini volle così bene a questo figlio illegittimo che per averlo dovette acquistarlo per 2.000 scudi dalla madre e poi farselo riconoscere, manipolando le sue conoscenze altolocate.

Nel 1828 finalmente andò a Vienna, dove le lodi ai suoi concerti furono unanimi. L’Imperatore Francesco II lo nominò suo virtuoso di camera.

Dopo aver dato 20 concerti a Vienna, si recò a Praga dove sorsero aspre discussioni sul suo valore.

Compose anche dal 1817 al 1830 sei concerti per violino ed orchestra (famosissimo il finale del secondo detto La Campanella); ritornato a Genova nel 1832 iniziò la composizione dei famosi Capricci per violino e nel 1834, una sonata per la grande viola, variazioni su temi di Süssmayr e Gioachino Rossini, serenate, notturni, tarantelle.

Il 1834 segna l’inizio dei sintomi più eclatanti di una malattia polmonare all’epoca non diagnosticata, segnata da accessi di tosse incoercibile, che duravano anche un’ora, che gli impedivano di dare concerti, che lo spossavano in maniera debilitante, per la quale furono interpellati almeno venti fra i medici più famosi d’Europa ma che nessuno riuscì a curare minimamente. Il Dottor Sito Borda pensionato dell’Ateneo di Pavia, finalmente pose la diagnosi di tubercolosi e lo curava con un rimedio dell’epoca, il latte di asina. E solo in seguito propose medicamenti mercuriali e sedativi della tosse dell’epoca, con poco risultato e grossi effetti collaterali. I disturbi alla gola si presentarono molto tempo prima che insorgesse la laringite vera e propria e la necrosi dell’osso mascellare[2]. Comunque la reazione di Paganini alla malattia fu molto dignitosa e composta; malgrado non avesse una grande opinione dei medici dopo che non erano riusciti a curarlo, si rivolgeva sempre con fiducia a qualcun altro, sperando di trovare un medico che potesse aiutarlo. Nonostante la difficoltà in cui si trovava, non si abbandonò mai alla disperazione e bisogna riconoscere che in questi estremi frangenti dimostrò una gran forza d’animo. Al tempo gli diagnosticarono una laringite tubercolare e dagli sforzi della tosse non poteva più parlare e diventò completamente afono. Gli faceva da interprete il figlioletto Achille di 15 anni, che si era abituato a leggergli le parole sulle labbra e quando anche questo non fu più possibile, si mise a scrivere bigliettini che sono rimasti e che sono stati sottoposti ad esame grafologico. Morì a Nizza in casa del presidente del senato. Achille, diventato adulto, cercherà di dare continuità all’opera del padre, continuando a riordinare e a pubblicare le sue opere, autenticandone la firma. In seguito nipoti, che non avevano conosciuto il nonno Nicolò, venuti in possesso dell’intera opera paganiniana, decideranno di regalarla allo Stato, e solo dopo un rifiuto, metteranno l’opera all’asta.

Morte e sepoltura
Paganini, dunque, morì il 27 maggio 1840. A causa delle voci sul suo conto circa un sospetto “patto con il diavolo” e della sua cattiva reputazione (dovuta soprattutto alla sua condotta apparentemente “irreligiosa”), il vescovo di Nizza ne vietò la sepoltura in terra consacrata. Il suo corpo fu quindi imbalsamato e conservato (inizialmente a bara aperta) nella cantina della casa dov’era morto. Dopo vari spostamenti, solo negli anni ’30 la Chiesa ne autorizzò la sepoltura, che avvenne nel cimitero di Parma dove riposa tuttora in una tomba sempre provvista di fiori freschi e dove attrae molti turisti.

I concerti per violino e orchestra presentano quella singolarità di cui si parlava, che in Romania, ma non solo, fu scambiata per un esibizionismo esagerato. Le serie di accordi di difficile impostazione, i trilli e i salti di registro, sono dovuti anche al fatto che Paganini, per questioni economiche, voleva essere l’unico in grado di suonare la propria musica in modo da essere l’unico a potervici lucrare. Volendo mantenere segrete le partiture, le consegnava al direttore d’orchestra solo qualche ora prima dell’esecuzione. Questi aveva quindi la possibilità di studiarle solo per poco tempo, doveva perciò limitarsi ad un’orchestrazione armonica e di facile interpretazione (l’orchestra doveva infatti essere in grado di poter suonare il brano a prima vista). In questo modo, gli assoli di violino risultano maggiormente complicati all’orecchio dell’ascoltatore che nel frattempo si è abituato all’accompagnamento melodico e semplificato dell’orchestra. Un esempio di quanto detto lo si trova nel primo e nel secondo concerto per violino e orchestra. In particolare nel secondo, il movimento denominato la Campanella è considerato dalla critica un capolavoro e venne trascritto per pianoforte da Franz Liszt.

“Paganini non ripete”
Questo detto popolare ebbe origine nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando Carlo Felice, dopo aver assistito ad un concerto di Paganini, fece pregare il maestro di ripetere un brano. Paganini, che amava improvvisare molto di quello che suonava e alcune volte si lesionava i polpastrelli, gli fece rispondere «Paganini non repete». Per questo motivo gli fu tolto il permesso di eseguire un terzo concerto in programma.

In seguito a questo annullò i concerti che doveva ancora tenere a Vercelli ed Alessandria. In due lettere inviate all’amico avvocato Germi scrisse: «La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Sig. Governatore ha creduto bene sospendermi la terza…» (il 25 febbraio 1818) e poi «In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire» (l’11 marzo dello stesso anno). Ma si contraddisse nel 1836 quando tornò a suonare proprio a Torino per ringraziare Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille.

Da allora la vulgata «Paganini non repete» viene usata per motivare il rifiuto di ripetere un gesto o una frase.

Le vicende delle opere di Paganini
Negli anni 50 dell’Ottocento Schubert di Amburgo, Ricordi e Schott pubblicarono alcuni titoli. Il resto giacque inedito a casa di Achille non avendo trovato altri editori.

Poi tutto tacque finché nel 1908 gli eredi di Achille Paganini decisero di vendere allo Stato la collezione dei manoscritti inediti. La commissione governativa incaricata di esaminare i manoscritti diede parere negativo, così non vennero acquistati.

Nel 1910 i manoscritti vennero acquistati all’asta da Leo Olschki che rivendette al collezionista di Colonia Wilhelm Heyer per il suo museo e divennero di fatto inconsultabili. L’asta comprendeva tutti i manoscritti tranne i 3 residui concerti per violino e orchestra dei 5 allora conosciuti.

Alcuni manoscritti facenti o non facenti parte dell’asta furono stampati nei primi decenni del secolo. Nel 1922 la Universal Edition di Vienna diede alla stampe alcuni pezzi per violino e pianoforte. L’editore Zimmermann di Francoforte sul Meno nel 1925 stampò 26 composizioni per chitarra sola. Nel 1926 un’altra asta assegnò i manoscritti a Fritz Reuther un collezionista di Mannheim. Nel 1935 toccò a Schott e nel 1940 a Ricordi.

Sempre Schott, nel 1952, estraendoli dalla collezione Reuter pubblicò alcuni pezzi per violino e pianoforte. Zimmermann nel 1955 mandò in stampa importanti composizioni cameristiche tratte dalla collezione postuma. Alcune cose furono pubblicate in Germania e Spagna nel 1956/57.

Nel 1970 e 1971 la Bèrben di Ancona pubblicò alcuni inediti per violino e per chitarra. Finalmente nel 1971 il governo italiano acquistò i 90 manoscritti e dal 1972 l’Istituto Italiano per la Storia della Musica ha iniziato (con notevole lentezza) la pubblicazione degli inediti. Ora si trovano presso la Biblioteca Casanatense di Roma.

All’inizio degli anni 90 del XX secolo fu ritrovato l’archivio del violinista e compositore Camillo Sivori in cui sono presenti 23 composizioni paganiniane, di alcune delle quali non si sospettava l’esistenza.

Su incarico del comune di Genova le prof. Maria Rosa Moretti e Anna Sorrento nel 1982 stilarono il “Catalogo tematico delle musiche di Niccolò Paganini” da qui la dicitura “M.S.” assegnata ufficialmente alle sue opere.

Attualmente il catalogo supera i 130 numeri d’opera.

Premio Paganini
Per promuovere l’attività concertistica dei violinisti debuttanti, dal 1954 per 51 edizioni si è svolto annualmente (ora solo negli anni pari) a Genova, nel mese di ottobre, presso il Teatro Carlo Felice, il Premio Paganini.

Il concorso, di notevole difficoltà (al punto che talvolta il premio non viene assegnato), è articolato in 3 fasi e nelle prime 2 l’ingresso in teatro è libero ed è possibile ascoltare vari pezzi per violino solo, con accompagnamento di pianoforte e nella finale concerto con orchestra. I 6 finalisti vengono premiati e il 12 ottobre al vincitore è concesso l’onore di suonare il “Cannone”, il famoso violino di Paganini, costruito nel 1743 dal liutaio Bartolomeo Giuseppe Guarneri, lasciato dal musicista alla sua città natale, onde fosse “perpetuamente conservato”.

Luigi Cherubini: Capriccio ou etude pour le fortepiano

Lato 1:

Capriccio ou etude pour le fortepiano

Lato 2:
Fantasia pour lr piano ou orgue.

Pietro Spada pianoforte.

Scarica qui Luigi Cherubini

Luigi Cherubini (Firenze, 14 settembre 1760 – Parigi, 15 marzo 1842) è stato un compositore italiano.

Figlio di un insegnante di musica, fu il decimo di dodici figli. Incominciò a studiare musica all’età di sei anni; tre anni dopo venne affidato ai maestri Felici, Bizzarri e Castrucci, con cui studiò canto, contrappunto e organo. Compiuti gli studi a Bologna e a Milano, iniziò ancora molto giovane a comporre musica sacra. La sua prima opera fu una messa solenne a quattro voci con orchestra che fu eseguita a Firenze realizzata quando aveva tredici anni. Seguirono altre opere di musica religiosa e da camera molto apprezzate al punto da indurre il granduca Leopoldo di Toscana ad assegnargli una pensione (1778), necessaria per il soggiorno di studio bolognese dove l’attese il maestro Sarti. Negli anni che vanno dal 1780 al 1784 fu prolifico di opere teatrali al punto da ottenere un invito per recarsi a Londra, dove compose l’opera buffa La finta principessa e il Giulio Sabino.

Fu autore di numerose opere liriche prima di stabilirsi a Parigi nel 1788, dove entrò a far parte del nuovo Conservatorio, che diresse poi dal 1821 al 1842, lasciando la carica poche settimane prima della morte, e dove strinse amicizia con Viotti. Durante la rivoluzione visse a Gaillon e fu nominato professore alla Scuola di musica della Guardia nazionale.

Nel 1805 si trasferì a Vienna, dove fu accolto da Haydn, ma in seguito agli eventi bellici ed alla difficile situazione teatrale austriaca, fu costretto a ritornare a Parigi, dove l’accoglienza fu piuttosto fredda al punto da indurlo a dedicarsi temporaneamente alla compilazione di un erbario. Ebbe maggiore successo e riconoscimenti in Francia negli anni successivi.[1]

Le sue composizioni, in stile classico, mostrano una grande padronanza del contrappunto. Nel 1808 compose la sua maggiore opera per musica da chiesa, la “Messa Solenne in fa maggiore in tre parti”; un altro grande contributo alla musica sacra fu la “Messa per l’incoronazione di Luigi XVIII” in sol minore per coro e orchestra (1815). Altre composizioni di musica sacra comprendono il “Credo a 8 voci e organo” del 1808, la Messa in do maggiore (1816) e i “Requiem in do minore” (1816) e in re minore (1836).

Tra le numerose altre composizioni di Cherubini – che tra il 1773 e il 1835 scrisse la musica per oltre trenta opere teatrali – si ricordano le opere liriche Lodoïska (1791), Medea (1797) e Les deux journées (1800), oltre a mottetti, cantate e quartetti per archi.

Il suo trattato “Cours de contrepoint et de la fugue” (1835), venne pubblicato a cura del compositore francese Jacques Halévy.

Giulio Confalonieri nel 1948 scrisse una biografia completa di Cherubini con il titolo di Prigionia di un artista (Premio Bagutta 1949).

Benjamin Britten conducting the english Chamber Orchestra

Lato A

Purcel: Chacony in G minor fro string
Elgar: Introduction and allegro for strings op.47

Lato B

Britten: Simple Symphony for orchestra primo movimento allegro ritmico
Secondo movimento pizzicato
Terzo movimento poco lento e pesante
Quarto movimento prestissimo con fuoco
Deluis: Two Acquarelles
Bridge: “Sir Roger De Coverley” for string orchestra

Scarica qui Benjamin Britten conducting the English Chamber Orchestra

Dvorak concerto in si minore

Concerto per violoncello in Si minore

Il Concerto per Violoncello in Si minore, Op. 104, B. 191 di Antonin Dvořák è uno dei concerti per violoncello più suonati e registrati. Fu l’ultimo dei concerti di Dvořák, e fu composto nel 1894-1895 per un suo amico, il violoncellista Hanuš Wihan, ma eseguito per la prima volta dal violoncellista Inglese Leo Stern[1]. È largamente riconosciuto come uno dei più grandi capolavori formali di Dvořák, in cui si uniscono gli elementi “americani” delle sue composizioni, ritrovabili anche nella Sinfonia Dal Nuovo Mondo, e la matrice classica europea originaria delle sue composizioni.[2

Scarica qui il concerto di Dvorak

Rossini: Musiche strumentali

Sonate a quattro:

V Sonata in mi bemolle maggiore: Allegro vivave, Andantino, Allegretto
VI sonata in re maggiore: Allegro spiritoso, Andante assai, Allegro (Tempesta)
Orchestra da camera dell’Angelicum, direttore Luciano Rosada.

Serenata per piccolo complesso
Preludio, tema e variazioni per corno
Solista Domenico Ceccarossi
Pianoforte Antonio Ballista
Orchestra da camera dell’angelicum direttore: Claudio Abbado

Scarica qui le musiche strumentali di Rossini

Tchaikowsky Eugene Onegin

Scarica qui Eugene Onegin di Tchaikowsky

Eugene Onegin

Opera in Tre Atti
Musica di Piotr Ilyich Tchaikovsky
Testo originale in Russo dello stesso compositore, tratto dal poema di Alexander Pushkin
Prima mondiale: Mosca, Collegio Imperiale di Musica, 23 gennaio 1881Prima americana: New York, Carnegie Hall, 1 febbraio 1908 (in Inglese)Prima alla Metropolitan Opera: 24 marzo 1920 (in Italiano)

I Personaggi

The Cast

Madame Larina Anna Reynolds

Tatyana Teresa Kubiak

Olga Julia Hamari

Filippyevna Enid Hartle

Eugene Onegin Bernd Weikl

Vladimir Lansky Stuart Burrows

Prince Gramin Nicolai Ghiaurov

A Capain, Trifon Petrovitch William Mason
Zaretsky Richard Van Allan

Monsieur Triquet Michel Senechal

The Orchestra of the Royal Opera House, Covent Garden sir Georg solti

Tatyana (soprano) una ragazza di campagna di origini semplici e rustiche. S’innamora perdutamente di Eugene Onegin, un uomo sofisticato che rifiuta le sue avances.

Olga (mezzo-soprano) sorella di Tatyana e fidanzata di Lensky. Alla festa di Tatyana, civetta un po’ con Onegin e suscita la gelosia di Lensky.

Madame Larina (mezzo-soprano) madre di Olga e Tatyana. Tenta di dissuadere Olga, Onegin e Lensky di creare uno scandalo alla festa di Tatyana.

Vladimir Lensky(tenore) un poeta innamorato di Olga ed amico di Onegin. Quando vede le scintille tra Onegin e Olga, Lensky sfida Onegin ad un duello.

Eugene Onegin (baritono) un ragazzo di mondo sofisticato, eredita delle terre vicino alla casa di Madame Larina. È affascinato da Tatyana ma la vuole solamente amare di un “amore fraterno”. Quando si trova a scherzare con la giovane Olga ad una festa, è sfidato dal suo amico Lensky ad un duello.

ATTO PRIMO

Primo quadro

La scena rappresenta il giardino della casa della Larina; la porta della terrazza è aperta; seduta all’ombra, la Larina prepara marmellate, aiutata dalla njanja (balia), ascoltando la canzone delle figlie. La padrona di casa evoca la propria gioventù (n. 1). Alcuni contadini offrono alla Larina un cesto di frutti e fiori e cantano una canzone popolare (n. 2). Sopraggiungono le figlie della Larina: la sognatrice Tatjana è suggestionata dalla canzone mentre Olga manifesta un carattere più allegro e realista (n. 3). La Larina, dopo aver ringraziato i contadini, si preoccupa del pallore di Tatjana: ma la ragazza assicura che non è nulla, è soltanto emozionata per la storia d’amore che ha appena letto in un romanzo. La njanja annuncia un visitatore, Lenskij (n. 4). Questi entra insieme con l’amico Onegin e dopo i saluti, la Larina entra in casa. Onegin si fa indicare Tatjana da Lenskij, e la trova più attraente di Olga; a sua volta, Tatjana è colpita da Onegin (n. 5). Si avvia la conversazione tra le due coppie: Lenskij corteggia Olga, e si allontana con lei; Onegin conversa con Tatjana e la coppia esce a sua volta, mentre tornano Lenskij e Olga. La scena si conclude con una dichiarazione d’amore di Lenskij a Olga, che a sua volta, pragmaticamente, intende sposarlo. Sopraggiunge la Larina con la njanja. La Larina cerca Tatjana, che ritorna dal giardino con Onegin, ormai affascinata dal giovane (n. 6).

Secondo quadro

Nella camera di Tatjana, arredata semplicemente con sedie rustiche di legno, antiquate, ricoperte di tela; sopra il letto, uno scaffale con libri; un cassettone coperto da un centrino, sopra uno specchio a colonnine; un vaso di fiori vicino alla finestra, un tavolo con calamaio e il necessario per scrivere. Tatjana, all’aprirsi del sipario, è pensierosa, seduta davanti allo specchio, con la njanja accanto; indossa una lunga camicia da notte. Tatjana è afflitta e agitata, la njanja non riesce a consolarla ed esce (n. 8). Tatjana, dopo molte esitazioni, scrive una lettera d’amore a Onegin (n. 9). E mattina, la njanja sveglia Tatjana che la incarica di far pervenire la lettera a Onegin (n. 10). Terzo quadro. In un angolo del giardino della Larina, fra grandi cespugli di lillà e di acacie in fiore, un’antica panca, fra aiuole trascurate; giovani contadine si infilano nella vegetazione per cogliere fragole (n. 11). Tatjana entra, agitatissima perché ha visto avvicinarsi Onegin: con cortese fermezza, il giovane rifiuta la dichiarazione d’amore contenuta nella lettera di Tatjana, mentre risuona il coro di contadine (n. 12).

ATTO SECONDO

Primo quadro

Nella grande sala dei Larin, illuminatissima, con al centro un grande lampadario e candele sui mobili: gli invitati, con vestiti fuori moda, e fra loro alcuni militari in uniformi del 1820, ballano il valzer; gruppi di vecchie dame osservano i ballerini, le madri fanno tappezzeria. Onegin e Tatjana, Lenskij e Olga ballano. La Larina va e viene intenta ai suoi doveri di padrona di casa (n. 13). Lenskij chiede a Olga di ballare con lui, ma la ragazza rifiuta; Lenskij le rimprovera di aver ballato sempre con Onegin e Olga gli rinfaccia di essere troppo geloso e concede il prossimo cotillon a Onegin. Alla festa interviene un curioso personaggio, monsieur Triquet, che affascina tutti cantando una elegante canzone francese (n. 14). È il momento del cotillon, che Onegin balla con Olga: scoppia un diverbio tra Onegin e Lenskij e, tra lo sgomento generale, quest’ultimo sfida a duello Onegin (n. 15). In un agitato finale, in cui Tatjana spasima per Onegin e Lenskij cerca di giustificare la condotta di Olga, il duello viene confermato (n. 16).

Secondo quadro

Presso un mulino ad acqua, fra gli alberi, sulla riva di un ruscello, di mattina presto, appena sorto il sole: è inverno. All’aprirsi del sipario Lenskij e il suo testimone Zarseckij sono già sul luogo. Lenskij è seduto su un tronco, pensieroso; Zarseckij, impaziente, cammina avanti e indietro. Si attende Onegin per il duello. Lenskij è turbato da presentimenti di morte (n. 17). Arriva Onegin, in compagnia del domestico Guillot: mentre Zarseckij e Guillot si appartano per i preparativi del duello, Onegin e Lenskij si sentono a disagio, obbligati controvoglia allo scontro mortale. Il duello alla pistola si conclude con la morte di Lenskij (n. 18).

ATTO TERZO

Primo quadro

Nel salone di un ricco palazzo a Pietroburgo, gli invitati ballano la polacca; finito il ballo, si siedono, si riuniscono in crocchi e conversano (n. 19). Onegin è tediato da una vita priva di attrattive, quando vede entrare il principe Gremin al braccio di Tatjana. Ognuno dei due chiede agli invitati informazioni sull’altro, fingendo indifferenza, ma sono ambedue emozionati. Tatjana apprende che Onegin è un giovane eccentrico, Onegin apprende che Tatjana è la moglie di Gremin: lo stesso principe, suo conoscente, gli conferma di aver sposato Tatjana da due anni (n. 20) e gli dichiara di esserne perdutamente innamorato (n. 20a). Gremin presenta Tatjana a Onegin, e i due fingono di ricordare vagamente un incontro avvenuto anni prima, in campagna. Gremin e Tatjana si allontanano e Onegin confessa a se stesso di amare Tatjana (n. 21).

Secondo quadro

In una sala nel palazzo del principe Gremin, Tatjana è sconvolta e piangente all’idea di aver incontrato nuovamente Onegin. Il giovane sopraggiunge improvvisamente e si getta ai piedi di Tatjana, dichiarandole il proprio amore: ma è passato molto tempo, la delusione ha segnato Tatjana che prega Onegin di non cercare di incontrarla più. Tatjana è ancora innamorata di Onegin, ma ormai appartiene a un altro uomo, e non lo tradirà. Tatjana esce, lasciando Onegin alla sua disperazione (n. 22).

Beethoven concerto triplo

Scarica qui il concerto triplo di Beethoven

Il concerto triplo per pianoforte, violino, violoncello e orchestra

di Ludwig van Beethoven, composto tra il 1803 e il 1804, appartiene
allo stesso periodo della terza sinfonia e sonata per pianoforte
“Appassionata”. Fu scritto appositamente per l’Arciduca Rodolfo che
in quegli anni era diventato suo allievo di pianoforte e per i due
solisti a suo servizio, il violinista Carl August Seidler e il
violoncellista Anton Craft, ambedue ottimi virtuosi.

È il primo concerto in assoluto che fu concepito per quel tipo di
complesso. Durante la vita di Beethoven fu eseguito una sola volta,
ed anche dopo la sua morte è raramente entrato nelle sale da
concerto, colpa delle accuse di ‘mediocrità’ da parte dei
concertisti dell’epoca, oltre che per l’inusuale presenza di tali
strumenti concertanti insieme.

È formato da tre movimenti:

1.Allegro
2.Largo
3.Rondò alla polacca — Allegro — Tempo I

Edward Elgar: The dream of Gerontius

Gerontius Peter Pears
The Priest John Shirley-Quirk
The Angel Yvonne Minton
The Angel of Agony John Shirley-Quirk

With the London Symphony Chorus (Corus Master Arthur Oldham)

The Choir of King’s College, Cambridge (Director: David Willcocks)

The London Symphony Orchestra conducted by Benjamin Britten

Lato 1
Parte prima: Preludio, Jesu, Maria, I am near to death

Lato2
Parte prima: (Conclusione) Proficiscere, anima Christiana
Parte seconda: I went to to sleep: and now I am refreshed.

Lato 3
PartII : (Continued): But hark! Upon my sense comes a fierce hubbub

Lato 4
Part II (concluded); Thy judgement now is near

La Decca ha pubblicato di recente due microsolco nei quali è registrato un oratorio che sta fra le musiche ricordate del nostro secolo. Si trata di una vasta composizione di Edward Elgar, l’insigne compositore inglese vissuto fra il 1857 e 1934 intitolata The dream of Gerontius, cioè a dire il sogno di Geronzio.

Scritta su testo del cardinale Newman, è in sostanza una vera e propria opera in due atti (così affermano gli studiosi elgariani). In effetto laparticolare impronta della partitura richiama lo spettacolo operistico nella sua scolpitezza, nella sua vis drammatica, nella sua tension e espressiva e anche nei suoi forti effetti.

Ma di là da tale specifico carattere The dream of Gerontius è una pagina bellissima, tutta ispirata, lavorata, di fino con sapienza e con minuzia.

A mio parere questa pubblicazione Decca è una fra le più importanti dell’annata discografica in corso: non soltanto si badi per l’interesse del titolo, non soltanto per la rarità con cui il titolo è presente nei cataloghi discografici, ma anche per la validità assoluta dell’esecuzione affidata a quel sensibile e acuto direttore che risponde al nome di Benjamin Britte, ossia del capofila della giovane scuola inglese; un compositore fra i pèiù eminenti oggi.

Inutile dire che Britten ha rilevato nella partitura elgariana tutti i più sottili valori, in essa cogliendo quell’aura di mistero e di soprannaturalità, quell’umanissimo calore, quei passionati cintrasti psicologici, quella straordinaria intensità nella compinazione voci-strumenti che rapiscono e incantano chi ascolta.

Nella parte di Geronzio figura un interprete di riconosciuti meriti, il tenore Peter Pears il quale è riuscito a uguagliare la meravigliosa finezza conseguita nello strumentale da Benjamin Britten.

Nella parte del Prete e dell’Angelo dell’Agoniail bravissimo baritono John Shirley-Quirk, assai versato come tutti sappiamo nell’interpretazione delle musiche di autori inglesi; nella parte dell’Angelo il mezzosoprano Yvonne Minton, una cantante di finissima scuola che ha più volte collaborato con successo alle imprese discografiche della Decca.

Ai meriti indiscutibili dei solisti bisogna aggiungere quelli dei cori della London Symphony e del King College Cambridge istruiti rispettivamente da Arthur Oldham e da David Wilcocks. Il coro dei Diavoli “Low-born clods of brute earth”, il coro degli Angeli “Praise the Holiest in the Height”, il coro delle voci in terra e delle anime in Purgatorio sono in effetti modelli esemplari di fusione vocale e di finezza interpretativa. L’orchestra della London Symphony è un gioiello, fra mano a Britten.

Segnalo perciò con entisiamo i due dischi Decca ai miei lettori e consiglio l’acquisto di questa bella edizione discografica dell’oratorio elgariano.

Vale la pena a mio parere di conoscere The dream of Gerontius e il suo autore. . Sotto il profilo tecnico i due microsolco sono di buona fattura, senza alcuna menda riconoscibile.

Laura Padellaro.