Aroldo in Italia (Harold en Italie) è una sinfonia in 4 parti con viola principale di Hector Berlioz (op. 16).
Composta nel 1834, è ispirata a Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, di Lord Byron.
Ognuno dei 4 movimenti che compongono la sinfonia è caratterizzato da un titolo che ha lo scopo di rendere più chiaro il messaggio musicale. Qui Berlioz porta ad esiti compiuti la tendenza, che la musica manifestava sempre più apertamente, di ricorrere ad un programma per fornire concretezza alle immagini che il compositore intendeva rappresentare.
Le principali innovazioni della sinfonia sono quindi l’introduzione di un programma poetico e di una melodia caratteristica.
In particolare attraverso la melodia caratteristica, propria di un personaggio, in questo caso Aroldo, Berlioz è riuscito a legittimare il suo allontanamento da schemi e formule classiche. Dove infatti la ripetizione e la variazione erano dettate da regole formali comunemente accettate, Berlioz utilizza variazioni e modulazioni come espressione dell’interiorità di Aroldo rispetto alle situazioni sempre diverse con cui si trova ad avere a che fare. La monodia caratteristica in questa sinfonia è affidata alla viola, che meglio del violino riesce a rappresentare la perenne malinconia di Aroldo.
Manon Lescaut è un’opera in quattro atti di Giacomo Puccini
Atto I
«Un vasto piazzale presso la porta di Parigi, ad Amiens.»
Nei pressi di un’osteria, studenti, borghesi e ragazze scherzano sui temi dell’amore e della giovinezza. Uno degli studenti, Renato Des Grieux, vanta la propria indifferenza verso l’amore («L’amor? Questa tragedia, ovver commedia, io non conosco!»).
Giunge una carrozza, dalla quale scendono Manon Lescaut, una ragazza destinata alla vita monastica, e il fratello, nel libretto indicato con il solo cognome: Lescaut. Quando Des Grieux vede Manon, è amore a prima vista. Non appena la ragazza rimane sola, le si avvicina e, al ritorno del fratello di lei, riesce a strapparle un nuovo appuntamento.
Nel frattempo Lescaut architetta il rapimento della sorella . In tal modo lei diventerà l’amante del banchiere e lui ne condividerà la vita lussuosa. Ma uno degli studenti, Edmondo, ascolta il dialogo, informa l’amico Des Grieux e organizza una contromossa: sarà Renato a rapire Manon, battendo sul tempo il vecchio Geronte. A fatica Des Grieux riesce a convincere Manon a fuggire con lui e, mentre gli studenti salutano la partenza in carrozza dei due innamorati, Geronte medita vendetta. Lescaut, d’altronde, si dice certo che la sorella non sopporterà a lungo una vita modesta.
Atto II
Siamo nel salotto della casa di Geronte. Come volevasi dimostrare, l’idillio è durato poco e Manon ha raggiunto il fratello per diventare la mantenuta del banchiere. La vediamo allo specchio, mentre si prepara per un ricevimento, durante il quale dovrà esibirsi nel ballo e nel canto. Sennonché la ragazza comincia ad annoiarsi e a provare nostalgia per Des Grieux, tanto che il fratello, per evitare che la situazione precipiti, decide di chiamare di nascosto Des Grieux a palazzo.
Il ricevimento è terminato, Manon è sola. Nella sua camera irrompe Des Grieux e, con lui, la passione di un tempo. Il ragazzo naturalmente è furibondo, ma, forte del suo fascino, Manon trova facilmente le parole per ammansirlo. Peccato che nel bel mezzo di un lungo abbraccio arrivi Geronte, che senza troppo scomporsi, anche di fronte all’ironia della ragazza che gli ricorda la differenza d’età, si accomiata con un sibillino «arrivederci… e presto!».
Manon non si rende conto del pericolo. Des Grieux la supplica di fuggire immediatamente, ma persino quando il fratello, precipitatosi a palazzo, la avverte che Geronte l’ha denunciata, Manon non sa decidersi a lasciare tutte quelle ricchezze. Proprio mentre tenta di recuperare un po’ di gioielli qua e là per la stanza, entrano le guardie e la arrestano come ladra e adultera.
Atto III
«L’Havre. Piazzale presso il porto.»
È notte. Manon è rinchiusa con altre cortigiane nella prigione di Le Havre, in attesa di essere imbarcata all’alba in una nave diretta verso gli Stati Uniti. Lescaut organizza una fuga per evitare la deportazione, ma il piano fallisce e, quando il sergente degli arcieri inizia l’appello delle deportate, a Des Grieux non rimane che una possibilità: supplicare il comandante della nave affinché accetti di imbarcarlo insieme a lei. Le sue parole e le sue lacrime commuovono il comandante e i due innamorati partono per l’ennesimo viaggio.
Atto IV
«In America. Una landa interminata sui confini della Nuova Orleans.»
Sotto il sole rovente del deserto di New Orleans, Manon e Des Grieux vagano senza meta, stremati dalla fatica. Ancora una volta, l’imprudenza della ragazza li ha costretti alla fuga, ma sarà l’ultima. Manon è stanca, cade al suolo, incapace di proseguire. Non c’è acqua. L’orizzonte non rivela ombra di vita. Il suo amante fedele non può fare più nulla, se non gridare la sua disperazione e ascoltare le sue ultime parole; la bella e voluttuosa Manon muore fra le sue braccia, sorridendogli amorosamente per l’ultima volta.
Scarica qui Lo Schiaccianoci di Tchaikowsky
Lo Schiaccianoci (in russo Щелкунчик, Ščelkunčik), è un balletto con musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71), il quale seguì minuziosamente le indicazioni del coreografo Marius Petipa e, in seguito, quelle del suo successore Lev Ivanov.
Il balletto fu commissionato dal capo dei Teatri Imperiali Russi, Ivan Aleksandrovič Vsevoložskij.
La storia deriva dal racconto Schiaccianoci e il re dei topi di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1816)
Foglio 9 delle cantate di Bach:
Numeri 31, 32, 33, 34
I cieli ridono, la terra esulta.
La cantata Der Himmel lacht! Die Erde jubilieret venne composta da Bach a Weimar nel 1715 e fu eseguita per la prima volta il 21 aprile dello stesso anno, giorno di pasqua. Successivamente venne eseguita anche a Lipsia, ma con notevoli modifiche.
Benché Bach, a causa della pasqua imminente, fosse sicuramente assai occupato in quel periodo, la composizione di questa cantata è molto complessa, includendo tre trombe e cinque strumenti ad ancia.
Poiché l’intonazione dell’organo di Weimar, da cui dipendeva l’accordatura degli archi, era probabilmente una terza più alta dell’accordatura usata a Lipsia, Bach dovette completamente riscrivere la cantata per poterla eseguire in quest’ultima città, escludendo gli strumenti ad ancia.
- BWV 32 – Liebster Jesu, mein Verlangen
Amato Gesù, mio desiderio
La cantata Liebster Jesu, mein Verlangen venne composta da Bach a Lipsia alla fine del 1725 o nei primi giorni del 1726 e fu eseguita per la prima volta il 13 gennaio 1726, prima domenica dopo l’epifania. Il libretto è di Georg Christian Lehms per i movimenti dal primo al quinto e di Paul Gerhardt per il sesto.
- BWV 33 – Allein zu dir, Herr Jesu Christ
Solo tu, signore Gesù Cristo
La cantata Liebster Jesu, mein Verlangen venne composta da Bach a Lipsia alla fine del 1725 o nei primi giorni del 1726 e fu eseguita per la prima volta il 13 gennaio 1726, prima domenica dopo l’epifania. Il libretto è di Georg Christian Lehms per i movimenti dal primo al quinto e di Paul Gerhardt per il sesto.
- BWV 34 – O ewiges Feuer, o Ursprung der Liebe
Oh fuoco eterno, oh fonte d’amore
La cantata O ewiges Feuer, o Ursprung der Liebe BWV 34, adattamento della cantata nuziale O ewiges Feuer, o Ursprung der Liebe BWV 34a, raggiunse la sua forma attuale a Lipsia nel 1740 o nel 1746 per il giorno di pentecoste. La data della prima esecuzione è sconosciuta, ma certamente ebbe luogo nel 1746 o prima. Il testo è di autore ignoto.
Scarica qui Parsifal di Wagner
Parsifal è l’ultimo dramma di Richard Wagner, andato in scena il 26 luglio 1882 a Bayreuth, ma rappresentato per la prima volta nei teatri europei solo a partire dal 1914.
Dopo una gestazione lunga alcuni decenni, l’opera fu composta tra il 1877 e il 1882 e segna il ritorno al tema del Graal, già affrontato molti anni prima in Lohengrin.
Parsifal è un eroe passivo, ingenuamente assorbito in un’azione che lo porta verso la conoscenza e la tacita rinuncia; non a caso i ruoli più estesi dell’opera spettano al narratore Gurnemanz e – nella scena della seduzione – a Kundry. Vi è inoltre l’ambientazione esotica del secondo atto, tesa a rievocare certi mondi orientaleggianti (la Spagna araba secondo le indicazioni di Wagner, l’Iran o l’India secondo alcuni racconti che situerebbero il Graal nella fortezza di Takht-I-Sulaiman o nel Kashmir indiano).
Comunque, al di là di ogni significato filosofico, Wagner resta essenzialmente un artista. In questo senso, la sua ultima creazione è prima di tutto un capolavoro assoluto della storia dell’arte. Spesso ci si dimentica, infatti, che il Parsifal non è un oratorio ma un’opera d’arte scritta nell’Ottocento. Il suo significato allegorico è chiaramente esposto nel saggio Religione ed arte (1880), dove Wagner dice:
« Il compito di salvare la religione spetta all’arte, la quale, impossessandosi dei simboli mitici autenticizzati dalla stessa religione, ne dà una rappresentazione ideale e ne fa trasparire la verità profonda. »
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L’influenza che Parsifal ebbe sullo sviluppo della cultura occidentale è rilevante. Secondo il critico Rubens Tedeschi “si tratta di un’affascinante ambiguità: è lo sfaldarsi dell’orchestra nel barbaglio luminoso che affascinerà di lì a poco Debussy e gli impressionisti”. La stessa moglie di Wagner, Cosima Liszt, descrisse lo stile del Parsifal come “strati di nuvole che si formano e si sciolgono nuovamente”. Sarà la vaghezza del Simbolismo, il falso ascetismo dannunziano, perfino lo stile floreale dell’Art Nouveau, ricalcato in parte sulle suggestioni scenografiche del giardino di Klingsor. Ma l’influenza più importante appartiene alla memorabile anticipazione della psicoanalisi freudiana, quando Kundry insinua in Parsifal l’amore erotico quale compensazione del mancato amore materno: una trappola su cui si basa la scena fondamentale della seduzione.
Theodor Adorno, nel breve saggio Sulla partitura del Parsifal, scrive inoltre che “l’essenza statica prodotta dall’idea di un rituale stabile nel primo e nel terzo atto significa la rinuncia ad una dinamica funzionale. I temi musicali (Leitmotiv) sono consumati dall’interno del loro valore allegorico, sono smagriti asceticamente, desensualizzati. Essi hanno tutti qualcosa di fragile, di improprio. La musica porta una visiera nera. L’ultimo Wagner ricava la qualità di uno stile della vecchiezza che secondo l’espressione di Goethe ‘rinuncia all’apparenza’. L’arte degli impasti strumentali viene estesa anche agli ottoni e ciò attenua la luminosa acutezza del suono, che diviene insieme più pieno e più scuro: tale suono orchestrale ha avuto la massima importanza per la Neue Musik”.
Come dice Carl Dahlhaus, l’intreccio della storia è costruito in una forma di perfetta reciprocità: il primo atto corrisponde al terzo e il secondo costituisce un elemento di contrasto. A prima vista, l’eccessiva staticità dei personaggi può apparire perfino “noiosa”, ma il suo fascino è dato dall’inerzia stessa della scena, dal passo lento con cui procede, sorta di cerimoniale del pensiero magnificamente reso nell’incisione discografica di Hans Knappertsbusch del 1951. Il linguaggio musicale tocca vertici di complessità armonica recuperando nel contempo procedimenti arcaici, di tipo modale. Il cromatismo – così tipico dello stile wagneriano – è ora confinato esclusivamente nel mondo malvagio di Klingsor. Infatti, come spesso succede in Wagner (Klingsor, Venere, la coppia Telramund-Ortrud), i “buoni” guardano al passato e i “cattivi” al futuro. Rubens Tedeschi osserva come i cavalieri del Graal si ammantino di modi arcaicizzanti mentre i campioni del male si trovano in una posizione più aperta e suggestiva.
Per quanto riguarda la scenografia, Wagner si ispirò all’ambiente e ai monumenti italiani, visitati durante i viaggi effettuati in tarda età per ragioni di salute. L’interno del monastero del Graal è il Duomo di Siena, mentre il giardino incantato di Klingsor è il parco di Villa Rufolo, a Ravello, calde rovine arabo-normanne immerse in una fioritura di verde e di colori. Era la prima volta che il musicista tedesco si spingeva nel “profondo sud”, ed è noto il suo stupore per la luce del cielo e del mare, un’atmosfera che i suoi occhi non avevano mai immaginato. Il Parsifal fu terminato a Palermo nel 1882, appena un anno prima dalla morte del compositore. Per trent’anni fu vincolato al Festival di Bayreuth ed è tradizione – specie nelle trasmissioni radiofoniche di qualche anno fa – eseguirlo durante i giorni della Settimana Santa.
- Per molti anni, a causa del carattere religioso del dramma, era consuetudine di non applaudire al termine della rappresentazione. Ancora oggi il pubblico spesso non applaude alla fine del primo atto (scena della Comunione). Durante una delle prime rappresentazioni a Bayreuth, Wagner si levò in piedi per zittire un applauso; ma quando, alla fine del secondo atto, egli stesso si alzò per applaudire, venne zittito dal pubblico.
- Per tradizione, alcuni brani del Parsifal vengono eseguiti nel periodo di Pasqua. In alcuni Lander della BR ne viene perfino permessa la rappresentazione il Venerdi Santo quando normalmente gli spettacoli sono proibiti.
- Wagner diresse personalmente il terzo atto a Bayreuth nel 1882. Fu l’unica volta che il compositore prese la bacchetta nel suo teatro.
- Hans Knappertsbusch, uno tra i più ammirati interpreti del Parsifal grazie alla sua direzione ieratica e solenne, era convinto della irrinunciabilità di alcuni simboli religiosi come ad esempio la colomba nel finale. Quando Wieland Wagner – nipote del compositore e regista teatrale – volle eliminare questi simboli, Knappertsbusch si rifiutò di dirigere l’orchestra. Alla fine si trovò un accordo secondo cui la colomba veniva mantenuta in modo tale che solo il direttore dal podio (e non il pubblico dalla sala) potesse vederla.