Mascagni: L’Amico Fritz

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L’amico Fritz è una commedia lirica in tre atti di Pietro Mascagni musicata su libretto di Nicola Daspuro (sotto lo pseudonimo di P. Suardon) a sua volta basato sulla commedia L’ami Fritz del 1876 della coppia Erckmann-Chatrian.

L’azione si svolge in un paese dell’Alsazia.

Atto primo Fritz Kobus è un giovane e ricco possidente considerato un benefattore del suo paese,
perché sempre pronto a far del bene ed a soccorrere i bisognosi. Scapolo irriducibile, passa la vita
gaiamente con gli amici Federico e Hanezò, anch’essi fedelissimi al celibato, e si prende giuoco del
uon rabbino David, solo desideroso d’intrecciare fidanzamenti e benedire matrimoni. Così scommette
col rabbino una delle sue belle vigne che questi non riuscirà a convertire lui pure al matrimonio.
È la festa di Fritz e dopo i consueti amici giunge Suzel, la giovanissima figlia del fattore, a recare
il suo modesto dono – un mazzolino di violette – al padrone. Questi resta colpito dalla bellezza e dalla
grazia della fanciulla e la fa sedere con gli amici alla sua tavola. Arriva Beppe, un giovane zingaro che
fu salvato un giorno da Fritz mentre infuriava una bufera, e sul suo violino canta le lodi del giovane
signore. Fritz si schermisce e protesta di non meritare tanti riconoscimenti. Suzel, timidissima, chiede
il permesso di andarsene, mentre David sentenzia che presto quella ragazza sarà la più vaga sposina
dell’Alsazia. Intanto un corteo di orfanelli, al suono di una marcia, viene sotto le finestre di Fritz a
rendere omaggio al benefattore del luogo.

Atto secondo Fritz è venuto a passare alcuni giorni nella fattoria; quasi insensibilmente si è affezionato
a Suzel, ha con lei ingenui e dolci colloqui, ma non osa confessare neanche a se stesso di essersi
innamorato della ragazza. Suzel, dal canto suo, è innamoratissima del giovane padrone; la sua timidezza e
il pensiero dì essere di condizioni tanto inferiori le impediscono però di manifestare i suoi sentimenti.
Il rabbino David, che si è accorto di tutto, riesce con uno stratagemma – facendo recitare a Suzel
il brano della Bibbia che riguarda Rebecca e il suo amore per Isacco – a far confessare alla fanciulla
il suo segreto. Subito dopo, parlando a Fritz del prossimo matrimonio di Suzel con un giovane del paese,
ha la certezza che anche Fritz è innamorato, perché questi – riuscendo a malapena a dissimulare disappunto
e agitazione – riparte con gli amici per la città, senza neanche salutare Suzel. Vedendo allontanarsi così
improvvisamente l’oggetto dei suoi sogni senza capirne la ragione, Suzel è presa dalla disperazione e non
può nascondere le lagrime.

Atto terzo Tornato nella sua casa, Fritz è triste e pensa continuamente alla ragazza che ha lasciato
senza neanche un saluto. Beppe tenta di consolarlo, narrandogli le sue pene d’amore, ma non riesce che
ad aumentare la mestizia dell’amico. David, poi, giunge a parlargli ancora dell’imminente matrimonio di
Suzel: il padre della ragazza dovrà venire quello stesso giorno per il consenso del padrone. Fuori di sé
per la gelosia, Fritz grida che non darà mai il suo consenso. Ma davanti a Suzel, che lo supplica
timidamente di aiutarla a salvarsi da quelle nozze che essa non vuole, il giovane non resiste più e confessa
il suo amore. Con grande gioia del rabbino, che così ha vinto la vigna ma la regala a Suzel come dono di
nozze, i due giovani sono finalmente uniti. E David pensa già a cercare moglie anche per Federico e per
Hanezò, gli amici di Fritz ancora scapoli irriducibili.

Omaggio a Carlo Vidusso

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Nato in Cile, studiò pianoforte con Ernesto Drangosch e si diplomò a 9 anni a Buenos Aires.

Trasferitosi in Italia, studiò composizione con Giulio Cesare Paribeni e Renzo Bossi
al Conservatorio di Milano e continuò al pianoforte con Carlo Lonati.
A 14 anni cominciò a suonare per i concerti della EIAR di Milano.

Virtuoso dotato di tecnica eccezionale e leggendaria facilità di lettura, iniziò a
vent’anni un’intensa carriera concertistica in Italia e in Europa. Sulla straordinaria
lettura a prima vista di Vidusso sono noti diversi aneddoti: a quanto pare era in grado
di risolvere al volo complicati problemi di diteggiatura senza alcuno sforzo. In un caso,
fu chiamato a sostituire in extremis (poche ore prima del concerto) un pianista
infortunato ad una mano, su brani che aveva ascoltato sì, ma mai studiato. Vidusso eseguì
il concerto senza prove, dopo aver poco più che scorso la partitura nei camerini; ciononostante,
la qualità dell’esecuzione fu tale che né il pubblico comune né gli esperti presenti in
sala intuirono minimamente quanto era accaduto. Questa dote avrebbe anche alimentato una “bonaria”
malignità nei suoi riguardi, secondo la quale le sue esecuzioni con lo studio peggioravano rispetto alla prima lettura.

A causa di un disturbo al terzo dito della mano destra, Vidusso smise di suonare in pubblico verso la fine del 1953.
Si dedicò quindi completamente all’insegnamento. Tra i suoi molti allievi, vi sono Leonardo Leonardi, Piero Rattalino,
Maurizio Pollini, Graziella Provedel, André-Sebastien Savoie, Paolo Marcarini. Ha diteggiato molte musiche pianistiche.
Ha vinto numerosi concorsi pianistici internazionali.

Durante l’edizione del 1956 del Concorso pianistico internazionale Ferruccio Busoni, Vidusso doveva
coprire il ruolo di pianista esecutore per il concorso di composizione. Impossibilitato,
propose come sostituto il suo allievo Maurizio Pollini, allora quattordicenne; la proposta fu accolta
dalla giuria, ma con una certa perplessità dovuta alla giovane età del discepolo. Pollini sbalordì tutti
eseguendo impeccabilmente i brani in concorso e, fatto inusuale, a memoria, nonostante il breve tempo a
disposizione per apprenderli; imponendosi così all’attenzione per le proprie non comuni doti, di cui
avrebbe poi dato continue prove in seguito.

Cilea: Adriana Lecouveur

 

 

Cilèa, Francesco. – Musicista italiano (Palmi 1866 – Varazze 1950). 
Studiò a Napoli, con B. Cesi e P. Serrao. Diplomatosi nel 1889, già nel 1890 iniziava un’attiva carriera didattica che doveva condurlo prima alla cattedra di pianoforte a Napoli (S. Pietro a Maiella) e a quella di contrappunto a Firenze (1896-1904), poi alla direzione dei conservatorio di Palermo e di Napoli. Fu accademico d’Italia. 
Esordì come operista (dopo la giovanile Gina) con Tilda (1892). 
Seguirono L’Arlesiana (1897), e l’Adriana Lecouvreur (1902), 
il capolavoro del C., che all’autore dette fama internazionale; 
nel 1907 seguì Gloria, meno fortunata. Vanno inoltre ricordati: una sonata per violoncello e pianoforte (1891), un poema sinfonico-corale su testo di S. Benelli in celebrazione di G. Verdi (Il canto del cigno,1913), pagine da camera e pianistiche. Considerato come uno degli esponenti della 
“giovane scuola” o “scuola verista” del suo tempo, il C. si distingue dagli altri (P. Mascagni, G. Puccini, R. Leoncavallo, U. Giordano) per una sua corda lirica, che effonde le sue risonanze migliori nei momenti di struggente e dolce malinconia;
in lui il verismo è velato da tinte crepuscolari.