Gluck: Orfeo e Euridice

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Christoph Willibald Gluck (Erasbach, 2 luglio 1714 – Vienna, 15 novembre 1787) è stato un compositore tedesco, attivo soprattutto come operista, uno dei maggiori – se non il principale – iniziatore del cosiddetto periodo storico musicale che va sotto il nome di Classicismo viennese (seconda metà del XVIII secolo).
Attraverso nuove e radicali opere come Orfeo ed Euridice (1762) e Alceste (1767) riformò l’opera seria, da tempo in declino, semplificandone la trama e cercando un sostanziale equilibrio tra musica e canto. Le sue riforme in ambito operistico ebbero grande fortuna, influenzando notevolmente molti compositori tra i quali Mozart, Salieri, Cherubini, Berlioz e Wagner.

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Orfeo ed Euridice (versione francese: Orphée et Eurydice) è un’opera composta da Christoph Willibald Gluck intorno al mito di Orfeo, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi. Appartiene al genere dell’azione teatrale, in quanto opera su soggetto mitologico, con cori e danze incorporati. Essa fu rappresentata per la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762, su impulso del direttore generale degli spettacoli teatrali (Generalspektakeldirektor), conte Giacomo Durazzo, ed aprì la stagione della cosiddetta riforma gluckiana, con la quale il compositore tedesco ed il librettista livornese (e, insieme a loro, il genovese direttore dei teatri) si proponevano di semplificare al massimo l’azione drammatica, superando sia le astruse trame dell’opera seria italiana, sia i suoi eccessi vocali, e ripristinando quindi un rapporto più equilibrato tra parola e musica. Le danze furono curate dal coreografo italiano Gasparo Angiolini, che si faceva portatore di analoghe aspirazioni di riforma nel campo del balletto, in un’epoca che vide la nascita della nuova forma coreutica del “ballet d’action”.
Dodici anni dopo la prima del 1762, Gluck rimaneggiò profondamente la sua opera per adeguarla agli usi musicali della capitale francese, dove, il 2 agosto 1774, nella prima sala del Palais-Royal, vide la luce Orphée et Eurydice, con libretto tradotto in francese, ed ampliato, da Pierre Louis Moline, con nuova orchestrazione commisurata ai più ampi organici dell’Opéra, con parecchia musica completamente nuova, con imprestiti da opere precedenti e con un più largo spazio dato alle danze.
L’opera è passata alla storia come la più famosa tra quelle composte da Gluck, e, nell’una edizione o nell’altra, o, più spesso ancora, in versioni ulteriori, ampiamente e variamente rimodellate, è stata una delle poche opere settecentesche, se non addirittura l’unica non mozartiana, a rimanere sempre, fino ad oggi, in repertorio nei principali teatri lirici del mondo.

Serata di gala alla Scala

Serate di gala alla Scala
200 anni di prime indimenticabili
Disco 1 Si alza il sipario lato A:
Ruggero bLeoncavallo Pagliacci prologo, Tito Gobbi baritono
Giuseppe Verdi La forza del destino Atto III Maria Callas soprano
Giacomo Puccini Manon Lescaut Atto I Giuseppe di Stefano tenore
Gioachino Rossini l’Italiana in Algeri Atto I Giulietta Simionato mezzo soprano
Gaetano Donizetti Lucia di Lammermoor Atto I Giuseppe do Stefano tenore, Renata Scotto soprano.
Disco 1 lato B:
Vincenzo Bellini la sonnambula Atto I Nicola Monti tenore, Maria Callkas soprano
Giuseppe Verdi il Trovatore Atto II Fedora Barbieri mezzo soprano
Gaetano Donizetti L’Elisir d’Amore Atto II Luis Alva tenpore
Giacomo Puccini Madama Butterfly Atto I Nicolai Gedda tenore, Maria Callas soprano
Disco 2 La Scala oggi lato A:
Giuseppe Verdi don Carlos Atto III Boris Christoff basso
Giuseppe Verdi Rigoletto Atto I Carlo Bergonzi tenore
Giuseppe Verdi Rigoletto Atto I Renata Scotto soprano
Giuseppe Verdi La Traviata Atto I Renata Scotto soprano, Gianni raimondi tenore
Giuseppe verdi La Traviata Atto II Ettore Bastianini baritono
Disco 2 lato B:
Giuseppe verdi Macbeth Atto IV Placido Domingo tenore
Giuseppe verdi Macbeth Atto IV Piero Cappuccilli baritono
Giuseppe verdi Simon Boccanegra Atto I Mirella Freni soprano
Giuseppe Verdi Simon Boccanegra Atto II Josè Van Dam basso, Josè Carreras tenore
Giuseppe Verdi Simon Boccanegra prologo Nicolai Ghiaurov basso

Giuseppe Verdi Aida Atto II

Disco 3 I grandi miti: Callas e DiStefano lato A:

Vincenzo Bellini Norma Maria Callas soprano
Pietro Mascagni Cavalleria Rusticana Giuseppe di Stefano tenore, Maria Callas soprano
Luigi Cherubini Medea Atto I Maria Callas soprano
Giacomo Puccini Tosca Atto III Giuseppe di Stefano tenore
Giuseppe Verdi un ballo in maschera Atto II Giuseppe di Stefano tenore, Maria Callas soprano
Disco 3 lato B:
Gaetano Donizetti Lucia di Lammermoor Atto I Maria Callas soprano, Annamaria Canali mezzo soprano
Giacomo Puccini Boheme Atto I Giuseppe di Stefano tenore
Giuseppe Verdi il Trovatore Atto I Luisa Villa soprano, Maria Calls soprano
Giacono Puccini manon Lescaut Atto II Maria Callas soprano, Giuseppe di Stefano tenore
Disco 4 I trionfi di Carla Fracci lato A:
Giselle
Romeo e Giulietta
Labella addormentata
Le Silfidi
Disco 4 lato B:
Coppelia
Cenerentola
Il lago dei cigni
Excedlsior
Disco 5 I grandi miti: Tebaldi e Del Monaco lato A:
Aida
Adriana Lecouvreur
La Gioconda
La Traviata
Otello
Disco 5 lato B:
Tosca
Fedora
Aida
Otello
Andrea Chenier
Disco 6: Concerto lato A:
Tchakovski: Capriccio italiano
Vivalvi: Concerto in si minore
Disco 6 lato B:
Chopin: Polacca n.6 il la bem magg op 33 “”Eroica”
Mozart: Sonata n.6 per flauto e pianoforte
Pablo de Sarassate: Zapateado
Dinicu-Heifetz Hora staccato
Paganini: Moto perpetuo
Disco 7: Gran Gala
Norma
La forza del destino
La Gioconda
La fanciulla del west
La Traviata
Un ballo in maschera
Disco 7 lato B:
Madama Butterfly
Rigoletto
Lucia di Lammermoor
Pagliacci
Manon Lescaut
Disco 8: I protagonisti: L’orchestra e il coro lato A:
Nabucco
Manon Lescaut
Il trovatore
Tosca
L’Italiana in Algeri
Disco 8 lato B:
I Lombardi alla prima crociata
Cavalleria Rusticana
Turandot
Pagliacci
Madama Butterfly
La forza del destino
Disco 9: Gli immortali lato A:
La scala di seta
Rigoletto
Andrea Chenier
Carmen
L’amico Fritz
Il trovatore
Disco 9 lato B:
Don pasquale
Il barbiere di Siviglia
Cavalleria rusticana
Andrea Chenier
Otello
Disco 10: Le voci nuove lato A:
Rigoletto, Pavarotti tenore
I due foscari, Karia Ricciarelli soprano
Attila
Manon Lescaut
Disco 10 lato B:
Andrea Chenier , Josè Carreras
La Boheme, Katia Ricciarelli
La Cenerentola

Beethoven: Fidelio

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La genesi di Fidelio

Fidelio è l’unico lavoro teatrale realizzato dal maestro di Bonn.
Questo meraviglioso capolavoro, molto ambizioso e di una qualità teatrale e musicale assai pregevole, venne composto dall’autore al culmine della propria esperienza e maturità artistica e rivela nella sua originalità tutto lo stile tipico della maestosità creativa beethoveniana.
Nel 1804 il compositore rimase affascinato da Léonore di Jean-Nicolas Bouilly.
Il lavoro beethoveniano, ancora al giorno d’oggi, è pervenuto in ben tre versioni, ognuna piuttosto diversa dall’altra, di cui nelle moderne esecuzioni di prassi, solamente la prima e la terza sarebbero da considerarsi come “ufficiali”. È da tenere presente, comunque, che la versione originaria (quella che poi verrà considerata come la prima) del Singspiel in tre atti (nella seconda e terza versione gli atti poi furono ridotti a due), presentata il 20 novembre 1805 al Theater an der Wien non portava assolutamente il titolo di Fidelio, titolo quest’ultimo inserito dall’autore solo per la terza e definitiva versione, bensì quello di Leonore. Leonore oder die eheliche Liebe (Op. 72) (Leonora ossia l’amor coniugale), non incontrò il favore del pubblico tanto che Beethoven fu costretto a ritirare l’opera.
Gran parte dell’insuccesso fu dovuto, quasi sicuramente, all’eccessiva lunghezza del lavoro (tre atti). Un notevole peso dovette avere anche il momento storico molto travagliato per Vienna, che proprio in quei giorni era stata invasa dall’esercito napoleonico, creando un clima di generale paura per la città e i suoi abitanti (quasi tutti gli spettatori erano costituiti da militari francesi). Non si può, infatti, tacere sul peso anche politico del Fidelio, il cui tema della lotta contro la tirannia e dell’affermazione della libertà e della giustizia, estremamente caro a Beethoven al di là della contingenza storica, poteva trovare diretta giustificazione nella situazione in cui si trovava la città austriaca.
Nonostante le aspre critiche di chi accusava Beethoven di non sapere scrivere per le voci, di trattarle indistintamente come strumenti e di essere poco avvezzo al genere teatrale, egli arrangiò, avvalendosi di un libretto revisionato dall’amico Stephan von Breuning, una nuova versione in due soli atti del lavoro, ripresentata l’anno successivo (29 marzo 1806) sempre con il titolo Leonore (Op. 72a) (Leonore o il trionfo dell’amor coniugale) al Theater an der Wien, ma con non migliori esiti, tanto da costringerlo a ritirarlo nuovamente. Solo otto anni dopo (1814), dietro richiesta del Theater am Kärntnertor, Beethoven tornò ancora una volta su Leonore avvalendosi della collaborazione del giovane Treitschke, che corresse il libretto migliorandolo dal punto di vista teatrale. La versione definitiva con il nuovo titolo questa volta cambiato letteralmente in Fidelio andò in scena in quello stesso anno con successo il 23 maggio con Johann Michael Vogl come Don Pizarro.
Il segno più evidente del lungo travaglio compositivo è costituito dalle quattro ouverture scritte da Beethoven per il Singspiel: due nel 1804, una nel 1805 e un’ultima (quella definitiva) nel 1814.
Il compositore così descriveva la sua opera: «Di tutte le mie creature, il Fidelio è quella la cui nascita mi è costata i più aspri dolori, quella che mi ha procurato i maggiori dispiaceri. Per questo è anche la più cara; su tutte le altre mie opere, la considero degna di essere conservata e utilizzata per la scienza dell’arte».

Le ouverture di Fidelio

Beethoven sentiva la necessità di comporre un’appropriata ouverture per Fidelio, e ne compose complessivamente quattro versioni. La versione composta per la Prima del 1805, è il rifacimento dell’ouverture oggi nota come Leonore No. 1 (Op. 138). Il risultato di questo rifacimento è l’ouverture che al giorno d’oggi è nota con il titolo di Leonore No. 2 (op. 72). Quindi Beethoven partì da quest’ultima realizzazione per poi creare la Leonore No. 3 (Op. 72a) per le rappresentazioni del 1806. Quest’ultima è considerata da molti come la migliore delle quattro ouverture, sia per l’intensità drammatica, sia per il grande respiro sinfonico, ma aveva il difetto di sovrastare la scena iniziale dell’opera e di prefigurarne il finale, anticipando lo squillo di tromba risolutivo (raffigurante l’arrivo di don Fernando). L’una e l’altra ebbero grande fortuna come pagine orchestrali a sé stanti, ma proprio per la loro grandezza furono giudicate inadatte a fare da premessa a un’opera le cui prime scene presentano un carattere di commedia borghese. Beethoven quindi decise di apporre ulteriori modifiche (che abbandonò poco dopo) per una presunta rappresentazione del 1807 a Praga, che comunque non ebbe mai luogo. La versione che oggi è chiamata Leonore No. 1 (Op. 138), che in realtà era stata già scritta nel 1805, verrà solamente eseguita postuma e mai entrerà a far parte delle tormentate vicende creative del Fidelio . Nel 1814 Beethoven ne scrisse la versione definitiva (Op. 72b), molto più snella, che sembra adattarsi meglio per l’inizio dell’opera.
Le intenzioni finali di Beethoven sono generalmente rispettate oggi durante le rappresentazioni contemporanee. Gustav Mahler introdusse la pratica, comune fino alla metà del XX secolo, di suonare la Leonore No. 3 nel cambio di scena del secondo atto: alcuni direttori continuano tale
usanza.

Trama

Il soggetto è tratto da Léonore ou l’amour conjugal di Jean-Nicolas Bouilly, scritto a suo tempo per il musicista Pierre Gaveaux, e si basa su di un fatto realmente accaduto nella Francia del periodo del ‘Terrore’, di cui l’autore (all’epoca accusatore pubblico del tribunale rivoluzionario di Tours) parla anche nei suoi Mémoires.

Atto I

L’azione si svolge in una prigione a qualche miglio fuori da Siviglia, nel XVII secolo.
Don Pizarro è il governatore della prigione in cui egli stesso ha fatto imprigionare ingiustamente il suo nemico personale Florestan. La moglie di questi, Leonore, vuole ritrovarlo e, travestitasi da uomo e preso il nome di Fidelio, ne intraprende le ricerche. Le informazioni raccolte la indirizzano proprio verso il carcere di don Pizarro. Qui, per scoprire se Florestan è tra i prigionieri, fa in modo di entrare nelle grazie di Rocco, il carceriere, e, involontariamente, entra anche in quelle di Marzelline, la figlia di lui, che se ne invaghisce sdegnando le attenzioni di Jaquino, il giovane portiere della prigione.
Nel frattempo don Pizarro viene informato con una lettera dell’imminente arrivo del ministro di stato don Fernando, e teme che questi possa scoprire l’arbitrio commesso con l’arresto illegale di Florestan, che don Fernando ben conosce. Dà ordine, dunque, a Rocco di uccidere il prigioniero ricevendone, però, un rifiuto. Costretto a commettere personalmente il delitto ottiene, però, che Rocco prepari la fossa. Fidelio assiste al colloquio e sospetta che il prigioniero di cui parla don Pizarro sia proprio Florestan. Per scoprirlo convince Rocco a far uscire in cortile tutti i prigionieri, ma Florestan non si trova tra questi e Fidelio, rassegnato, non può far altro che seguire Rocco nelle segrete per aiutarlo a scavare la fossa.

Atto II

Florestan giace incatenato nel buio della segreta e si lamenta della perduta libertà. Entrano Rocco e Fidelio, che si era deciso a salvare comunque il prigioniero chiunque egli fosse. Non appena ne ode la voce invocare il nome “Leonore”, però, riconosce subito in lui il marito. Quando don Pizarro arriva per ucciderlo, Fidelio lo affronta e gli rivela la sua identità, ma il governatore è ben deciso a uccidere entrambi.
Uno squillar di tromba annunciante l’arrivo del ministro fa frettolosamente uscire don Pizarro dalle segrete, mentre Leonore e Florestan si abbracciano esultanti. Nella piazza del castello il ministro dà ordine che i prigionieri siano liberati e ascolta da Rocco il resoconto dei fatti. Leonore toglie personalmente le catene al marito e, mentre i crimini di don Pizarro vengono smascherati, si leva un coro in lode dell’eroina.
 

Schubert: Rosamunde

 

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Il Quartetto per archi n. 13 in la minore (detto Quartetto Rosamunde) D.804, op. 29 n.1, fu scritto da Franz Schubert fra il febbraio ed il marzo 1824, quasi in contemporanea con l’altro grande quartetto schubertiano, il quartetto n. 14 in re minore La morte e la fanciulla, emergendo circa tre anni dopo il suo precedente tentativo di scrivere per il quartetto d’archi, il Quartettsatz che non fu completato.
Schubert dedicò il quartetto al celebre violinista Ignaz Schuppanzigh, primo violino nel quartetto privato del conte Andrei Razumovsky. Schuppanzigh stesso partecipò come primo violino alla prima esecuzione del quartetto, avvenuta il 14 marzo 1824.
Il quartetto si compone di quattro movimenti e dura fra i 30 e i 40 minuti.

  1. Allegro ma non troppo
  2. Andante
  3. Minuetto – Allegretto – Trio
  4. Allegro moderato

Il primo movimento si apre in un modo che ricorda il tema malinconico da uno dei primi brani di Schubert, Gretchen am Spinnrade. È al secondo movimento, tuttavia, che si deve il nome Rosamunde del quartetto, dato che questo movimento è basato su un tema dalla musica di scena per Rosamunde, tema molto simile a quello che appare nell’Improvviso in si bemolle maggiore op. 142 D.935 – nella forma di tema e variazioni – scritto tre anni dopo. Il minuetto è ispirato alla melodia di un’altra canzone di Schubert, Die Götter Griechenlands, D.677.

Mascagni: Isabeau

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Isabeau è una leggenda drammatica o opera in tre atti del compositore Pietro Mascagni (1911), su libretto di Luigi Illica. Mascagni diresse la prima il 2 giugno 1911 al Teatro Coliseo di Buenos Aires.Si tratta di una rivisitazione della leggenda medievale inglese di Lady Godiva, come Mascagni descrisse in una intervista: “ritorno al romanticismo che ispirò così tanto l’opera italiana.”
Trama:
Re Raimondo cerca un marito per la principessa Isabeau organizzando un torneo, ma lei non vuole scegliere un marito. Quando il re la costringe a girare nuda per la città, la gente rifiuta di guardarla in segno di rispetto. Inoltre, essa richiede al re l’emanazione di un editto di condanna alla cecità a chiunque osi guardarla. Ignaro del decreto, il falconiere Folco guarda casualmente Isabeau durante il suo giro e viene arrestato. Quando Isabeau lo visita in carcere, si innamora di lui e implora il padre di perdonarlo. Tuttavia, il ministro del re, esalta le passioni del popolo che salgono dalla folla e uccide Folco. Isabeau, distrutta dal dolore, si suicida accanto all’amato.

La Stravaganza di Antonio Vivaldi

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La stravaganza è una raccolta di dodici concerti composta da Antonio Vivaldi. Nell’intestazione originale, la dedica riporta il seguente testo:

« Concerti consacrati a Sua Eccellenza il Signor Vettor Delfino, nobile veneto, da Don Antonio Vivaldi, Musico di Violino, e Maestro de Concerti del Pio Ospitale della Pietà di Venetia. »

Si tratta di concerti per violino anche se occasionalmente interviene un secondo strumento solistico come un secondo violino e/o violoncello solo.

La raccolta ha la stessa struttura delle altre due che hanno dato un’impronta fondamentale alla produzione vivaldiana. Si tratta delle celeberrime Il cimento dell’armonia e dell’inventione e L’estro armonico (entrambe più famose della presente opera). Come nelle altre due raccolte, ciascuno dei dodici concerti della Stravaganza dura una decina di minuti.

Welte Mignon

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Il pianoforte meccanico automatico Welte-Mignon fu il primo strumento musicale che rese possibile l’ampia riproduzione autentica di brani musicali per pianoforte. Lo strumento impiegava, come supporto sonoro, strisce perforate di carta chiamato rullo di carta per note o rullo per pianoforte e fu una ricerca comune di Edwin Welte e Karl Bockisch. In questo modo era possibile riprodurre con alta fedeltà il brano musicale di un pianista, e la dinamica sonora.