Non aprire piu’ portona
O tua testa andar pedona!
Che vuol dir questa canzona
Che vuol dir questa canzona!
E’ etrusco!
Ti propongo un gioiellino di Rossini: La pietra del Paragone
Un’opera poco conosciuta ma deliziosa.
Scarica “La Pietra del Paragone” di Rossini
LA PIETRA DEL PARAGONE.
Melodramma giocoso in due atti suddiviso in quattro parti di Luigi Romanelli.
La marchesa Clarice Fiorenza Cossotto
La baronessa Aspasia Silvana Zanolli
Donna Fulvia Eugenia Ratti
Il conte Asdrubale Ivo Vinco
Il cavalieri Giocondo Alvinio Misciano
Macrobio Renato Capecchi
Pacuvio Giulio Fioravanti
Fabrizio Franco Calabrese
Cori di giardinieri, ospiti, cacciatori e soldati del conte.
L’azione si finge in un popolare e ricco borgo d’Italia e particolarmente in una amena villa del conte Asdrubale. Epoca 1680.
Orchestra e coro del teatro Alla Scala
Direttore Nino Sanzogno
Registrazione dal vivo effettuata il 6 giugno 1959 presso la Piccola Scala di Milano.
Ventenne appena era Gioachino Rossini, quando La Scala gli aperse le illustri
porte per La pietra del paragone. Nel biennio precedente il giovanissimo autore già aveva dato alle scene sei opere: non solo brevi e scorrevoli opere buffe, ma anche due lavori d’impegno drammatico quali Ciro in Babilonia e Demetrio e Polibio (e torna opportuno ricordare il singolare ritmo, senza precedenti nella storia dell’attività’ creatrice di Rossini: il quale, dopo aver scritto una quarantina diopere nell’arco di men che un ventennio, altri quaranta ne trascorse in pacifico ozio, sporadicamente interrotto da qual- che rare pagina extra teatrale; e parole esplicite su tale silenzio ebbe Richard Wagner, recatosi in visita d’omaggio a Rossini nella sua dimora parigina di Passy a marzo del 1860: “Un crime! Vous ignorez vous meme loul ce que vous auriez tire de ce cerveau-la’”.
Sia pure in teatri minori, le sei precedenti opere rossiniane avevano raccolto buoni successi a Venezia, Bologna, Roma e Ferrara, ma non ancora sufficienti a legittimare, secondo l’impresa che gestisce La Scala, un invito del grande teatro milanese: “Rossini – scriverà poi Luigi Romanelli, il librettista della Pietra del paragone “non aveva dato prove bastanti per essere annoveralo nella classe dei musicisti di cartello”. Furono le insistenze di due celebrali cantanti del momento, il contralto Maria Marcolini e il basso Filippo Galli, che avevano preso parte ad alcune esecuzioni di opere rossiniane, a vincere le comprensibili esitazioni dell’impresa. E la nuovissima Pietra del paragone, protagonisti appunto la Marcolini e il Galli, andò in scena il 28 settembre 18l2, riscuotendo un successo tanto clamoroso che il generale francese comandante il presidio di Milano esento’ Rossini degli obblighi del servizio militare: vantaggio non trascurabile, specie in quel 1812 segnato dalla disfatta napoleonica in Russia.
Di sera in sera il successo non solo ebbe a ripetersi ma subì anzi un progressivo incremento, al punto che nell’ ultima replica si registro’ il bis di ben sette pagine dello spartito. Era questa rappresentazione la cinquantatreesima, cifra altissima anche in rapporto alle costumanze del tempo, e che avrebbe assicurato a Rossini il primato nelle repliche scaligere, se negli anni precedenti non avessero toccato “ex-equo” quota 54 tre opere di Stefano Pavesi, di Luigi Mosca e di Simone Mayr: nomi oggi confinati nelle pagine dei lessici, ad eccezione dell’ultimo, il bavarese-bergamasco maestro di Donizetti in tempi recenti oggetto di alcune riproposte sceniche “il record assoluto sarà appannaggio nel 1842 di Giuseppe Verdi con le 57 rappresentazioni di Nabucodonosor a rivalsa del non lontano fiasco di Un giorno di regno. Ripresa in altri teatri milanesi e di diverse Città italiane, La pietra del paragone tornò alla Scala dieci anni dopo, nel 822, con 27 repliche, e ancora nel 1829 per sette sere. Poi scomparve, al pari di molte altre opere rossiniane; se 1’avvento del pesarese aveva respinto nell’oscurità i vari Pavesi, Mosca. Mayr ed altri musicisti della medesima generazione – i cartelloni dei teatri erano allora costituiti esclusivamente di opere contemporanee. le successive affermazioni di Bellini, di Donizetti, di Verdi e, infine, dei maestri detti “veristi” condussero via via al paradossale risultato di considerare Rossini quale autore di una sola opera, l’intramontabile e onnipresente Barbiere di Siviglia, mentre rare occasioni celebrative riproponevano talvolta altre opere rossiniane, e solo i massimi teatri erano in grado di affrentare gli oneri artistici e finanziari di allestire il Gugliemo Tell “ma circa il capolavoro drarnmatico di Rossini la stessa Scala osservò un lungo silenzio dal 1899 al 1930”.
Il compito di ricordare agli italiani che Gioachino Rossini non era l‘autore del solo Barbiere di Siviglia spettò per decenni alle bande musicali, che spesso iscrivevano nei loro programmi nuorese sinfonie di altre opera rossiniane. Vi si aggiunse poi l’ascolto integrale di alcuni e dimenticati spartiti, messi in onda dalle stazioni radiofoniche deII’ Eiar; tradizione continuata nel dopoguerra dalla Rai: del recente 1976 e la riproposta di Torvaldo e Dorliska, eseguita ad esclusivo uso radiofonico, con i complessi milanesi della Rai, nella direzione di Alberto Zedda. E le dimenticate opere rossiniane gradualmente tornarono anche sulle scene: tappa significativa quella del Maggio Fiorentino 1952 che integralmente dedicato al maestro pesarese vide tra gli altri il ritorno della Pietra del paragone, direttore Gabriele Santini, nella regia di Anton Giulio Bragaglia. Quattro anni dopo, a Santo Stefano del ’56, si inaugurava a Milano la Piccola Scala con ll matrimonio segreto dl Cimarosa, diretto da Sonzogno. e nella regia di Giorgio Strehler; cui faceva seguito, ricorrendo il bicentenario mozartiano Così fan tutte, che vedeva il compianto Guido Cantelli nelle congiunte mansioni di direttore e di regista. Assente in quella prima stagione, Rossini fu spesse ospite nelle successive, con ll Signor Bruschino, ll Turco in Italia (recato anche al festival di Edimburgo), Il Conte Ory, e infine La pietra del paragone, andata in scena il 29 maggio 1959 la registrazione venne effettuata nella replica del 6 giugno). Quell’ edizione della Pietra del paragone fu conforme al tipico, signorile livelle che contrassegno l’aureo periodo iniziale della Piccola Scala, i cui spettacoli erano in competizione, spesso vittoriosa, con i simultanei allestimenti della “grande” . E i nomi stessi degli interpreti ne sono eloquente testimonianza: dirigeva Nino Sanzogno, mentre Ia regia, sulle sfondo delle scene di Mario Chiari, era affidala a un artista di rara presenza nel teatro lirico quale Eduardo De Filippo. La coppia protagonista della marchesa Clarice e del conte Asdrubale era impersonata del giovanissimo mezzo soprano Fiorenza Cossotto – che due anni innanzi aveva esordito alla Scala in un breve ruolo nei Dialoghi delle Carmelitane – e dal basso Ivo Vinco (i due cantanti tramuteranno più lardi nella realtà della vita ll vincolo coniugale preannunziato nella finzione scenica); e mentre di sicuro affidamento e già saldamente affermati erano gli altri interpreti, da Eugenia Ratti a Silvana Zanolli, da Flenato Capacchi a Franco Calaorese, a Giulio Fioravanti e ad Alvino Misciano. Accolta da caldo successo e dal piano consenso della critica. quell’edizione ebbe cinque repliche, secondo l’allora corrente “standard” della Piccola Scala.
Ma, se i familiari tornavano agli assidui dei concerti bandistici, ed anche orchestrali, i titoli dl parecchie opera rossiniane, grazie all’ascolto delle sinfonie popolarissime ad esempio, della Gazza ladra, dell’italiana in Algeri, del Tancradi, della Semirarmide e del Guglielmo Tell, solo gli eruditi nello specifico settore erano al corrente dell’esistenza di una dimenticata Pietra Del paragone. E ciò per un sernplice motivo: pochi mesi dopo la prima scaligera – e ci furono di mezzo anche “L’occasione fa l’uomo ladro” e “Il signor Bruschino” – Rossini accedeva a un altro grande teatro italiano, la Fenice di Venezia, con il Tancredi, melodramma eroico; stretto dall’assillo del tempo, il musicista alle prese con tre opere scritte in rapidissima sequenza, non ebbe scrupoli nel trasferire tale e quale alla nuova opera la sinfonia della Pietra dal paragone, da allora in poi indicala a diffusa coma la sinfonia del Tancradi. Ed altri prelievi compi’ l’autore dall’opera dal suo esordio scaligero: tra i quali l’aria di Clarice “Eco pietosa…” che si ritroverà nella canzone del salice nell’Otello, e il temporalino dell’atto secondo, trasferito di peso ne l’occasione fa il ladro e progenitore dal consimili, innocui eventi meteorologici del Barbiere e della Cenerentola, mentre nubi più minacciose si addenseranno poi sul Guglielmo Tell.
“Melodramma giocoso” aveva definito La pietra del paragone il librettista Romanelli quasi emulando la qualifica di “dramma giocoso” conferita da Lorenzo Da Ponte al Don Giovanni di Mozart.
Non si dirà certo che La pietra del paragone attinga la vertiginosa altezze e la sovrumana tensione drammatica del capolavoro mozartiano, ma a sua volta essa valica a tratti le frontiere del “giocoso”: e piuttosto una commedia musicale a lieto fine. un’opera del tipo che sarà poi detto semiserio; non è una standardizzata farsetta di settecentesco modello. ma anche si accende di accenti elegiaci che si potrebbero dire pre-bielliniani, ad esempio nella citata aria di Clarice, nella successiva cavatina del conte “Se certo io non sapessi…” e nel seguente duetto tra i due futuri sposi.
Mentre al dinamico e inconfondibile meccanicismo ritmico, tipico del Rossini “buffo” , sono invece improntati i concerti che suggellano i due atti, autentici banchi di prova per i venturi, analoghi cimenti dell’italiana in Algeri, del Barbiere e della Cenerentola.
Opera semi-seria, dunque, ma anche commedia d’ambiente e di satira, con una
puntuale delinaeazione di alcuni caratteri, al punto che sui convenzionali lineamenti della coppia protagonista, delle altre due dame a del probo Cavalier Giocondo il tenore, che in quest’opera riveste un compito accessorio, prevalgono la realistica verità e le psicologiche connotazioni di due personaggi detti “minori”: Pacuvio poeta ignorante e Macrobio giornalista imperito, presuntuoso e venale.
Le pesanti allusioni alla classe giornalistica non adontarono tuttavia il cronista musicale del Corriere milanese, l’unico quotidiano pubblicato a Milano nel periodo napoleonico, che all‘indomani della prima scaligera scrisse: “Rossini si distingue dalla moltitudine degli odierni compositori per un colorite splendido e vivace, per una certa misurata sobrietà nelle cantilene, che sembra tenere la via di mezzo tra la robustezza tedesca e la melodia italiana…”.
Assecondate dalla pronta genialità del musicista, il Romanelli aveva indubbiamente fatto tesoro dei modelli goldoniani ad esempio nel maccheronico italiano escogitato per il seducente mercante turco – cioè Asdrubale in persona, travestito alla stregua dei due mozartiani ufficialetti di Così fan tutte – e giunto per esigere l’estinzione di un suo credito che ridurrebbe in povertà il facoltoso conte; appunto la pietra del paragone, che gli consentirà la scelta fra le tre dame che aspirano a divenirne la moglie. Il mercante vorrebbe porre sotto immediato sequestro i beni del conte, con largo uso di sigilli: “Sigillara, sigillara”, egli ripete con tanta frequenza nel concertato conclusivo dell’atto primo, che i milanesi – e lo conferma Stendhal – finirono per tramutare in Sigillara, nel familiare linguaggio, il titolo stesso dell’opera.
Se tale strambo italiano riecheggia quello dell’altrettanto strambo mercante armeno nella Famiglia dell’antiquario di Goldoni, l’ombra del commediografo veneziano si avverte anche nei parti letterari di Pacuvio, emule del Poeta fanatico e del suo servitore Brighella.
Fecondata dall’argento vivo di Rossini la canzone di Pacuvio “ombretta sdegnosa del Mississippi” sopravvisse a lungo anche dopo il declino delle fortune dell’opera e venne ricordata da Antonio Fogazzaro nel sue romanzo Piccolo mondo antico(1895), poi rivendicato dall’omonimo film di Mario Soldati (1941). Ai Lineamenti comici e sentimentali della Pietra del paragone si affianca qui una terza componente: quella della parodistica ironia, E non solo in quest’arietta, ma ancora quando il conte rifà il verso ai sospiri della non ancor amata Clarice ripetendone in distanza le parole, e simulando trattarsi del naturale fenomeno dell’eco: procedimento frequente nella rinascimentale polifonia quanto nei prossimi rnelodrammi secenteschi, o ancora nella solidarietà del giardiniere nei riguardi del conte, manifestata nel coro “Il conte Asdrubale – dolente e squallido”, che palesemente si fa gioco della paludata seriosità propria delle classiche opere serie. Procedente dall’ultimo Settecento, La pietra del paragone anticipa cosi tratti ed accenti di caratterizzante parodia che diverranno emblematici dei primi decenni del Novecento
Guido Piamente