Scarica qui la decima sinfonia di Mahler
Il completamento della Decima Sinfonia di Gustav Mahler è un affascinante percorso del Novecento in musica, come se l’estremo lascito incompiuto del grande compositore abbia avuto una prosecuzione fino quasi ai giorni nostri, tanti sono stati i tentativi, tutti discussi, di intervento sulla partitura interrotta dalla morte del compositore.
Un insieme di vicende che vedono coinvolti Alma Mahler, musicisti, musicologi tra i quali Deryck Cooke e i direttori che hanno accettato questa o quella versione: un pezzo del Novecento musicale che addirittura per decenni gira attorno all’ultima fatica di Mahler, che è e rimane l’enigma del grande compositore austriaco di origine boema, nonostante i tentativi di completamento.
Al 1924 risale la prima revisione di Krenek, che con pochissimi interventi rese eseguibile anche il terzo movimento (il primo era pressochè completato). La vedova di Mahler, Alma (che morirà addirittura nel 1964, dopo successivi matrimoni con Walter Gropius e con lo scrittore Franz Werfel, ed una vita sentimentale piuttosto movimentata che la portò fra l’altro ad essere anche l’amante di Oskar Kokoschka) dopo rifiuti e ripensamenti, pare che abbia dato il suo benestare alla prima versione redatta da Cooke; il musicologo inglese successivamente ne approntò altre, l’ultima delle quali è ormai un punto di riferimento autorevolissimo e che forse si può cominciare a considerare l’edizione definitiva della Decima Sinfonia, nonostante alcuni tentativi di completamento anche da parte di altri musicologi.
Il normale fruitore di musica però si limita ad ascoltare quello che viene eseguito, lasciando agli specialisti l’analisi dettagliata degli interventi sul testo. Ciò non toglie che questa sinfonia nel suo complesso non sembra raggiungere le vette di altre, e ciò nonostante che il primo movimento (completamente autografo) sia una delle più profonde, tormentate e angoscianti pagine mahleriane.
Anche Daniel Harding per questo disco sceglie l’ultima versione che fu pubblicata nel 1989, dopo la morte di Cooke; nell’opera definitiva del revisore la struttura della sinfonia è in cinque movimenti di durata assai variabile: il primo e l’ultimo hanno una durata quasi monumentale di circa venticinque minuti ciascuno (l’Adagio iniziale è comunemente eseguito anche da direttori che si limitano ad eseguire quello che Mahler ha effettivamente completato), mentre il brevissimo terzo tempo (Purgatorio) dura poco più di quattro minuti. La cosa è un’eccezione nella produzione mahleriana, con i tempi delle sinfonie che prediligono durate notevoli e che anche per questo motivo richedono grande attenzione da parte dell’ascoltatore.
Il primo e l’ultimo movimento lenti incorniciano i due scherzi, che quasi inglobano al loro interno il terzo tempo, in una struttura speculare di grande fascino. Harding affronta l’impegnativa partitura dall’alto dei suoi trent’anni, ma da direttore navigato qual è nonostante la giovane età, e soprattutto da direttore non più emergente ma ormai splendida certezza nel panorama internazionale. Il suo Mahler è lucido e luminoso, e i Wiener Philharmoniker si dimostrano ancora una volta una compagine estremamente duttile che però non abdica mai a quelle che si possono considerare le caratteristiche fondanti più volte ribadite nella sua lunghissima storia, quasi duecentennale: il suono personalissimo per così dire “viennese” che, nonostante le personalità dei vari direttori cui l’orchestra si affida, è quasi un marchio di fabbrica riconoscibile ed inimitabile.
Gli archi hanno una precisione ed una intensità straordinaria, splendidi i fiati, miracolosi certi attacchi in pianissimo, dettagli di assoluta perfezione strumentale ed estrema morbidezza, virtuosismo orchestrale sensazionale: si direbbe l’orchestra ideale per il Mahler di Harding, lucidamente novecentesco ma non senza anima, anzi a suo modo modernamente angosciante e con i contrasti che trovano quasi una composizione nell’apparente distacco con il quale il direttore esegue certe pagine. Aspettiamo altre entusiasmanti conferme mahleriane, magari con sinfonie (alcune altre sono già nel repertorio del direttore) più complesse e dalle quali già fin da ora ci attendiamo moltissimo.
Al 1924 risale la prima revisione di Krenek, che con pochissimi interventi rese eseguibile anche il terzo movimento (il primo era pressochè completato). La vedova di Mahler, Alma (che morirà addirittura nel 1964, dopo successivi matrimoni con Walter Gropius e con lo scrittore Franz Werfel, ed una vita sentimentale piuttosto movimentata che la portò fra l’altro ad essere anche l’amante di Oskar Kokoschka) dopo rifiuti e ripensamenti, pare che abbia dato il suo benestare alla prima versione redatta da Cooke; il musicologo inglese successivamente ne approntò altre, l’ultima delle quali è ormai un punto di riferimento autorevolissimo e che forse si può cominciare a considerare l’edizione definitiva della Decima Sinfonia, nonostante alcuni tentativi di completamento anche da parte di altri musicologi.
Il normale fruitore di musica però si limita ad ascoltare quello che viene eseguito, lasciando agli specialisti l’analisi dettagliata degli interventi sul testo. Ciò non toglie che questa sinfonia nel suo complesso non sembra raggiungere le vette di altre, e ciò nonostante che il primo movimento (completamente autografo) sia una delle più profonde, tormentate e angoscianti pagine mahleriane.
Anche Daniel Harding per questo disco sceglie l’ultima versione che fu pubblicata nel 1989, dopo la morte di Cooke; nell’opera definitiva del revisore la struttura della sinfonia è in cinque movimenti di durata assai variabile: il primo e l’ultimo hanno una durata quasi monumentale di circa venticinque minuti ciascuno (l’Adagio iniziale è comunemente eseguito anche da direttori che si limitano ad eseguire quello che Mahler ha effettivamente completato), mentre il brevissimo terzo tempo (Purgatorio) dura poco più di quattro minuti. La cosa è un’eccezione nella produzione mahleriana, con i tempi delle sinfonie che prediligono durate notevoli e che anche per questo motivo richedono grande attenzione da parte dell’ascoltatore.
Il primo e l’ultimo movimento lenti incorniciano i due scherzi, che quasi inglobano al loro interno il terzo tempo, in una struttura speculare di grande fascino. Harding affronta l’impegnativa partitura dall’alto dei suoi trent’anni, ma da direttore navigato qual è nonostante la giovane età, e soprattutto da direttore non più emergente ma ormai splendida certezza nel panorama internazionale. Il suo Mahler è lucido e luminoso, e i Wiener Philharmoniker si dimostrano ancora una volta una compagine estremamente duttile che però non abdica mai a quelle che si possono considerare le caratteristiche fondanti più volte ribadite nella sua lunghissima storia, quasi duecentennale: il suono personalissimo per così dire “viennese” che, nonostante le personalità dei vari direttori cui l’orchestra si affida, è quasi un marchio di fabbrica riconoscibile ed inimitabile.
Gli archi hanno una precisione ed una intensità straordinaria, splendidi i fiati, miracolosi certi attacchi in pianissimo, dettagli di assoluta perfezione strumentale ed estrema morbidezza, virtuosismo orchestrale sensazionale: si direbbe l’orchestra ideale per il Mahler di Harding, lucidamente novecentesco ma non senza anima, anzi a suo modo modernamente angosciante e con i contrasti che trovano quasi una composizione nell’apparente distacco con il quale il direttore esegue certe pagine. Aspettiamo altre entusiasmanti conferme mahleriane, magari con sinfonie (alcune altre sono già nel repertorio del direttore) più complesse e dalle quali già fin da ora ci attendiamo moltissimo.
Fabio Bardelli