Maria Caniglia
Ebe Stignani
Ezio Pinza
Direttore: Tullio Serafin
Maestro del coro Giuseppe Conca
Scarica qui la messa da Requiem di Verdi
Nonostante Verdi si sia sempre rifiutato di comporre musica celebrativa, durante il corso della sua lunghissima carriera, in due occasioni fa eccezione e progetta la composizione di una messa per onorare degnamente la scomparsa di due grandi personalità della cultura italiana del suo tempo: Alessandro Manzoni (morto il 22 maggio 1873) e Gioacchino Rossini (morto nel dicembre 1868).
La morte di Rossini giunge proprio in un momento particolare, quando cioè sembrava che stesse venendo meno il secolare primato della tradizione operistica. L’interesse del pubblico si rivolgeva sempre più spesso alla musica sia operistica che sinfonica di autori stranieri. Inoltre era opinione comune che bisognasse ricercare il nuovo attraverso l’abbandono della tradizione. Verdi reagisce a queste tendenze e propone, attraverso la sua musica, di onorare colui che era riconosciuto come il più grande musicista italiano del secolo; dà così vita, insieme ad altri 11 musicisti, al Requiem per Rossini.
Al Maestro di Busseto viene assegnato il brano conclusivo Libera me, Domine. Il Requiem non viene però eseguito alla data stabilita, prevista per il 13 novembre 1869. Per due anni si continua a discutere della possibilità di eseguire la Messa, ma Verdi considera il progetto fallito, poiché non si è eseguita nel primo anniversario della morte di Rossini.
Dopo pochi anni un’altra morte eccellente colpisce il Maestro di Busseto, quella dell’Autore dei Promessi Sposi. La composizione del Requiem per Alessandro Manzoni inizia nel 1873, anno in cui Verdi ritorna in possesso della sua partitura originale per il Libera me, Domine, composto ben 5 anni prima per la Messa di Rossini e mai eseguito. Il Maestro propone il Requiem per Manzoni a Ricordi, il quale a sua volta lo propone al Comune di Milano, con promessa di eseguirlo nel primo anniversario della morte del grande letterato. Il Sindaco e la Giunta accettano di buon grado e ringraziano calorosamente Verdi.
La Messa da Requiem viene finalmente eseguita nella chiesa di San Marco il 22 maggio 1874, con il soprano Teresa Stolz, il mezzosoprano Maria Waldmann, il tenore Giuseppe Coppini e il basso Ormondo Maini diretti dallo stesso Verdi.
1.Dies irae
Scrive il filosofo Ernst Bloch nel suo Principio speranza: “Da cento anni, anzi quasi da duecento, il testo liturgico di morte e dannazione non viene più creduto dalla maggioranza degli uomini, ciò nonostante esso vive ancora nella musica. Ciò nonostante, Mozart, Cherubini, Berlioz, Verdi scrissero le loro Messe funebri in grande stile e acutamente autentiche. Di parvenze decorative non v’è traccia in questi grandi capolavori, neanche in Verdi, dove più che negli altri il senso del teatro sarebbe accettabile. […] La musica del grande Requiem non dà un godimento artistico, ma provoca turbamento e commozione; e il testo liturgico, nato da paure e struggimenti millenari di epoche arcaiche, presta alla musica i suoi grandi archetipi”. Fu proprio il turbamento dinanzi alla morte e al suo mistero, l'”archetipo nato dagli struggimenti millenari”, a colpire Verdi sin dalla prima concezione della Messa. Al musicista interessò subito la morte, quello che di irrevocabile essa possiede. “Messa da morto” chiamava Verdi il proprio Requiem. Con simili intenti non c’è da stupirsi se la pagina più debole sia il Sanctus, mentre la più originale e potente sia il Dies irae, un poderoso organismo musicale che, non a caso, mentre nella liturgia accupa un posto piuttosto periferico, nel Requiem assume posizione centrale e, addirittura, ciclica. Non previsto dal testo, infatti, Verdi ripropone il coro del Dies irae più volte all’interno della sezione, e una volta addirittura nel Libera me. Quasi Leitmotiv della morte, del terrore che essa suscita, il tema (A la famosa sequenza gregoriana) è introdotto da quattro terrificanti accordi a piena orchestra in sol minore, immediatamente ripetuti (B). Quasi la morte non avesse volto e non avesse parola, questi accordi sono un brutale avviso fonico. Anche le trombe del giudizio, che per molti commentatori sono di effetto teatrale, trovano il loro senso nell’ispessimento fonico e nella loro disposizione spaziale (C). Si noti come il crescendo e l’animando sfoci in un accordo violento e pauroso. Da questi agglomerati sonori quasi espressionistici, sorgono le voci dei solisti, eco della collettività. È il caso dello splendido Mors stupebit, cantato dal basso e accompagnato da un disegno degli archi (D) che via via si frantuma nell’attonita sospensione della parola “Mors” (E); oppure il caso della parola “Nil” nel Liber scriptus proferetur, parola ripetuta quattro volte e interrotta da lunghi, abissali, silenzi (F).
Suddivisione
Requiem et Kyrie (quartetto solista, coro)
• Dies Irae
Dies irae (coro)
Tuba Mirum (basso e coro)
Mors stupebit (basso e coro)
Liber Scriptus, (mezzosoprano, coro)
Quid sum miser (soprano, mezzosoprano, tenore)
Rex tremendae (solisti, coro)
Recordare (soprano, mezzosoprano)
Ingemisco (tenore)
Confutatis (basso, coro)
Lacrymosa (solisti, coro)
• Offertorium (solisti)
• Sanctus (a doppio coro)
• Agnus Dei (soprano, mezzosoprano, coro)
• Lux Aeterna (mezzosoprano, tenore, basso)
• Libera Me (soprano, coro)