Luig Boccherini: Stabat Mater

Boccherini “Stabat mater” a tre voci e archi.

Luciana Ticinelli Fattori primo soprano
Ille Brinkman secondo soprano
Adriano Ferrario tenore.
Orchestra e coro della Polifonica Ambrosiana diretto da mons. Giuseppe Biella

Scarica qui lo Stabat Mater di Boccherini

La fama musicale di Luigi Boccherini e legata quasi esclusivamente alle sue composizioni strumentali, mentre poco conosciute sono le altre sue composizioni e precisamente: un’opera “Clementina “, due oratori “Giuseppe riconosciuto” e “Gioas re di Giuda “, una “ Messa “ a quattro voci con strumenti, una “Cantata “ e alcuni ”Mottetti” per il Natale, a quattro voci con coro e strumenti, alcuni “Cantici Sacri” a quattro voci e orchestra, alcune “Arie accademiche” e infine lo “Staba! Mater “. Se dovessimo giudicare la produzione vocale boccheriniana dallo “Stabat “ dovremmo affermare che questa non è certo inferiore a quella strumentale. Il testo della famosa sequenza attribuita a Jacopone da Todi (1230 circa, 1306), esaltante il dolore della Vergine Madre ai piedi della croce, commosse profondamente l’animo religioso di Boccherini, che lo musico negli ultimi anni di una vita tanto provata da intime pene e da una fortuna quasi sempre avversa, e gli ispirò sublimi melodie che armonizzate sapientemente e con raffinatissimo gusto raggiungono una sincerità e una verità di espressione, sia pure drammatica e lirica, che ci eleva in commossa e religiosa contemplazione del grande mistero divino e umano. La composizione è per due soprani, tenore e quintetto d’archi. E’ del 1800 e la stampa del 1801. Le diverse strofe sono musicalmente tradotte, in una serie di recitativi, arie, duetti, terzetti, in uno stile affine a quello del teatro d’opera ma contenuto in una linea più sobria e meditata, qualche volta con accenni alle forme più semplici della fuga. L’autore esigeva il semplice trio vocale accompagnato da soli cinque strumenti. L’edizione “Guidi” (Firenze 1877), il presentatore della quale afferma di avere copiato fedelmente la prima stampa, porta il seguente frontespizio: “Stabat Mater a tre voci con il semplice accompagnamento di due violini, viola, violoncello e basso., composto da Luigi Boccherini in Madrid 1800 – opera 61” e porta nello stesso tempo, tanto nella parte vocale, come in quella strumentale, alcune indicazioni di “solo” e “tutti “. L. Picquot, nella monografia Notices sur la vie et les ouvrages de Luigi Boccherini (1851), in cui raccoglie una grande quantità di documenti sul Maestro, dice che lo Stabat non esige una grande orchestra. La stesura musicale della prima e delle ultime due strofe fanno senz’altro preferire l’esecuzione a coro. Abbiamo deciso per una esecuzione che, a nostro giudizio, meglio si addicesse alle caratteristiche del discorso e della costruzione musicale, facendo intervenire i soli, il coro e l’orchestra d’archi, in modo da conservare il sicuro carattere cameristico dell’opera, senza turbare e appesantire il mirabile gioco con cui voci e strumenti si intrecciano con semplicità e sapienza, e senza tuttavia ridurre il tutto ad una realizzazione troppo scarna per una composizione permeata di calore espressivo, ora dolce e commosso, ora vibrante ed appassionato.
GIUSEPPE BIELLA
Bisogna fare una premessa prima di parlare di questo Stabat Mater, bisogna dire che ogni nuova incisione di opere di Boccherini è benvenuta poiché serve a sempre meglio chiarire 1’orizzonte artistico di questo musicista, intorno al quale e solo da poco sorto un particolare ed approfondito interesse. In questo caso specifico poi, trattandosi del1’incisione di un’opera assolutamente rara, il disco realizzato da don Biella con la sua Polifonica Ambrosiana assume un’importanza che va al di la del solo interesse. Questo Stabat Mater, infatti, viene a chiarire parecchie cose intorno allo stile vocale, cameristico e sacro di Boccherini, e, nello stesso tempo, apre uno spiraglio sul fatto umano dell’autore. Una prima stesura, infatti, portava la data del 1781, ed era redatta per una sola voce. L’attuale esecuzione riprende invece, il definitivo rifacimento del 1800, stampato nel 1801, come Op. 61, redatto per tre voci, 2 violini, viola, violoncello e contrabbasso. Ambedue le versioni, comunque, vengono create negli ultimi anni della vita dell’autore; vita piena di stenti, di disillusioni, di miseria autentica, di umiliazioni. I1 ripiegamento sul testo di Jacopone, pieno di commosso dolore, assume, quindi, uno speciale significato umano, proprio, fors’anche perché avvenuto spontaneamente, come conseguenza del maturarsi di una condizione spirituale che sentiva tramutare i suoi accenti alla ricerca di un religioso avallo, di una comunanza più profonda nel dolore con chi, come la Vergine, poteva dare un più alto senso alla sofferenza. I1 fatto è che con lo Stabat Mater di Boccherini, ad un certo momento ci si accorge di essere ben al di
fuori di un elegante ed irreprensibile discorso di voci e di strumenti e che la melodia ha, nel suo svolgersi, una ragione intima che, a tutta prima, ci sfugge ma che, a poco a poco, rivela i momenti di una sua intensa emozione e di una aderenza dolente al testo che e sentita e convinta. C’é chi, a proposito di questo Stabat Mater, ricorre alla solita storia dello stile operistico. A noi sembra solo un atteggiamento sbagliato di chi vuole dimostrarsi colto e raffinato di orecchio. Sbagliato, perché, oltretutto, l’osservazione reca in se qualcosa di negativo e di limitativo che non ha ragione di essere, dal momento che ognuno ha il diritto di rivolgersi a Dio nel modo che ritiene più opportuno e, quindi, più spontaneo. In secondo luogo, perché non è affatto obbligatorio che un pezzo sacro debba per forza obbedire a regole di etichetta e di forma prestabilite, poiché non sono queste che danno il tono religioso al pezzo, bensì lo spirito che anima le note e le sorregge. E con Boccherini si tratta proprio di religiosità pura e candida, anche se i recitativi, le arie, i duetti, i terzetti si susseguono secondo una prassi spesso operistica e, diciamo pure, un mestiere tipici del suo tempo. Il Picquot, parlando dello Stabat Mater, lo definisce un capolavoro e, a nostro parere, non ha torto sia se lo considera dal punto di vista stilistico che da quello poetico. Il Picquot, anzi, dando alcune brevi indicazioni sulle possibilità d’esecuzione, esce in una acutissima frase: “ …L’auteur désire la pure naiveté et 1’exactitude », riuscendo a definire in modo assolutamente proprio, con il termine di ”naiveté”, la qualità intrinseca di questa musica. Don Biella ha affrontato 1’esecuzione del capolavoro boccheriniano con la solita affettuosa cura e con fin troppo timore reverenziale. Nella sua esecuzione si avvertono tutte le buone intenzioni che egli nutriva; ma sono realizzate a metà. L’altra metà é legata da una correttezza che frena un po’ l’espandersi del canto e il respiro espressivo della frase. Si tratta, tuttavia, di un’esecuzione valida sul piano artistico, alla cui realizzazione hanno concorso in modo lodevole il coro il complesso strumentale della Polifonica Ambrosiana e i tre solisti di canto citati in principio, tra i quali fa spicco, per 1’intensita esprcssiva e bellezza di canto, Luciana Ticinelli Fattori. Incisione tecnicamente, fedele e precisa.
Vittorangelo Castiglioni

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