Gioachino Rossini
La Donna del Lago
Libretto Andrea Leone Tottola
Coro e orchestra della RAI di Torino
Direttore d’orchestra Piero Bellugi
Data della rappresentazione: 22 aprile 1970
Scarica qui la donna del lago di Rossini
Elena Montserrat Caballè soprano
Giacomo V Franco Bonisolli tenore
Rodrigo di Dhu Pietro Bottazzo tenore
Malcom Groem julia Hamari mezzo soprano
Douglas D’Angus Paolo Washington basso
Serano Gino Sinimberghi tenore
Albina Anna Maria Balboni soprano
Giacomo Leopardi scriveva da Roma al fratello Carlo, il 5 febbraio 1823, di aver assistito al Teatro Argentina alla Donna del lago e di essere stato affascinato dalla musica rossiniana: «eseguita da voci sorprendenti, è cosa stupenda, e potrei piangere ancor io, se il dono delle lagrime non mi fosse stato sospeso, giacché m’avvedo pure di non averlo perduto affatto». Ma Leopardi continuava: «è intollerabile e mortale la lunghezza dello spettacolo, che dura sei ore, e qui non s’usa d’uscire dal palco proprio…». Forse da queste parole ebbe origine un pregiudizio che gli studiosi si sono tramandati per qualche tempo, circa la disuguaglianza fra un primo atto dell’opera, denso di gemme musicali, e un secondo atto non all’altezza del primo, anche per cadute di interesse nell’azione. In realtà la condotta drammatica della Donna del lago è simile a quella di tutte le opere serie del periodo rossiniano: solo nelle opere più mature di Donizetti e Bellini, per non parlare di Verdi, la costruzione drammatica sarà sapientemente costruita in ‘crescendo’, tutta puntata sul finale dell’ultimo atto. In quelle di Rossini non è mai così: il culmine dell’azione, della costruzione formale e musicale, e dell’interesse richiesto agli spettatori, si trova nel finale dell’atto primo. L’intero secondo atto può essere considerato un lento ‘diminuendo’ drammatico, ma questo non vuol dire che sia meno importante e trascurato: nel gioco di bilanciamenti e pesi drammatici, esso prevede sempre una sorta di ‘finale interno’ (un terzetto o un concertato ampio, a volte molto prima del finale ultimo vero e proprio), e le arie di congedo dei due o tre personaggi principali, secondo una disposizione calibrata come riflesso delle arie ‘di sortita’, quelle che presentavano per la prima volta i protagonisti nell’atto iniziale. È quanto avviene anche nella Donna del lago, che accoglie nel suo secondo atto un complesso duetto che sfocia in un terzetto, centro drammatico di tutta la vicenda. Questa inizia, nel primo, con un vasto blocco musicale, che esula dalle introduzioni tradizionali delle opere serie (coro e sortita di un personaggio, oppure scena e concertato): in sostanza è un lungo duetto, che comincia nel primo quadro, viene ripreso e svolto compiutamente nel quadro successivo, dopo il recitativo, e forma una sorta di prologo separato dal resto dell’atto, esaurendo addirittura gli interventi di uno dei personaggi principali, Giacomo V, che ricompare solo all’inizio del secondo atto. Tre blocchi drammatici (introduzione ‘lunga’, finale primo, duetto-terzetto del secondo) costituiscono dunque l’impalcatura dell’opera; di questi, il secondo è il centro musicale e drammatico (il finale d’atto), il terzo è il momento di ‘catastrofe’ della vicenda, che poi può solamente sciogliersi nei rondò virtuosistici dei protagonisti, Malcom ed Elena.
L’interesse per l’ambientazione scozzese era vivo all’epoca della Donna del lago, che rappresenta il primo melodramma italiano basato su un soggetto tratto da Walter Scott. La scelta forse non si deve al compositore: nella prefazione al libretto leggiamo che l’argomento «era già dall’Impresa de’ Reali Teatri destinato a trattarsi per una delle nuove Opere di questo anno». La vicenda è quella del poemetto narrativo The Lady of the Lake, non ancora tradotto in italiano nel 1819 ma disponibile nella versione francese, sulla quale probabilmente lavorò Leone Andrea Tottola. Il libretto tiene conto anche della traduzione che Melchiorre Cesarotti aveva offerto (Padova 1763) degli Ossianic poems di James Macpherson, che godevano ancora di vasta fortuna nel primo Ottocento. Si spiegano con il ricorso a Cesarotti citazioni e riferimenti al ‘clima ossianico’ assenti nel poema di Scott, e scelte metriche particolarmente innovative rispetto alla tradizione classicheggiante dell’opera seria italiana: ad esempio la ricchezza di combinazioni ritmiche e i giochi con le rime a metà verso. Più che la musica in sé, è forse l’ambientazione di molte scene a far sì che La donna del lago sia stata spesso considerata una delle prime opere romantiche italiane, o almeno la più romantica fra quelle del periodo italiano di Rossini.
In Scozia, a Stirling e nelle sue vicinanze, «sulla veduta del lago Kattrine, originato dalle acque cadenti, cui sovrasta ardito ponte di alberi». Un coro di pastori e pastorelle si intreccia a quello dei cacciatori, con effetti stereofonici in quanto questi ultimi, dall’alto di una rocca, rispondono sui richiami dei loro corni ai pastori, che agiscono in primo piano: la musica si impossessa dello spazio e questo è un motivo sconosciuto all’opera seria settecentesca. Si avanza Elena sul lago, sopra a un battello, cantando una melodia semplice e orecchiabile ma molto studiata nel fraseggio, (“O mattutini albori”), su un ritmo ondeggiante, da barcarola. Non è un’aria di sortita, è una semplice canzone che servirà quasi a identificare il personaggio del titolo, e a richiamare, quando sarà citata al termine del secondo atto, l’antefatto narrato nella prima parte dell’opera. Assistiamo all’incontro fra Elena e il re Giacomo V, che si aggira in incognito, durante la caccia, sotto il nome di Uberto. Elena offre subito ospitalità al finto cacciatore, accogliendolo sulla barchetta: il breve dialogo fra i due è cantato in recitativo e poi sulla ripresa della melodia di “O mattutini albori”. I cacciatori arrivano in primo piano, preoccupati per aver perso le tracce del loro compagno Uberto; essi levano una preghiera, prima di dividersi per cercarlo. Questi è frattanto giunto alla casa di Elena e trasalisce quando vede appese le insegne di un suo nemico, Douglas, caduto in disgrazia presso la corte e ritiratosi sui monti: Elena ne è la figlia. Le compagne giungono per rallegrarsi con lei delle sue imminenti nozze con ‘Rodrigo il forte’, capo dei clan alpini, che ha offerto protezione a Douglas. La temperatura emotiva si alza: Elena non nasconde la sua angoscia, Uberto è ormai invaghito di Elena e quando essa gli confida di non amare Rodrigo, egli fraintende e pensa per un momento di essere l’«altro amante». La cabaletta del lungo duetto, nel quale le sezioni intermedie vengono dilatate a dismisura da Rossini, è un esempio di transfer musicale, come lo sarà il primo duetto fra Arsace e Semiramide nella Semiramide: un gesto troppo audace di Uberto viene in apparenza rimproverato da Elena, ma nell’inconscio della donna suscita un’ondata di passionalità, diretta a colui del quale Elena è innamorata, il guerriero Malcom, ma espressa musicalmente proprio nei confronti di Uberto (in mancanza d’altro…), a sua volta preda del ritmo vorticoso e della figura vocale ascendente e poi bruscamente discendente che caratterizza l’avvio del brano. Con la scena seguente siamo introdotti a uno dei luoghi d’obbligo dell’opera seria: l’ingresso dell’amante-eroe, connotato dal libretto di alcuni tratti ombrosi e malinconici («si avanza concentrato, ed a passo lento, il giovine Malcom… si scuote dal suo letargo, guarda mestamente intorno…»), e dipinto da Rossini con una cavatina (“Elena, oh tu, ch’io chiamo”) densa di melismi che illustrano l’abbandono struggente dei versi «Grata a me fia la morte/ se Elena mia non è». Dopo la cabaletta virtuosistica (“Oh quante lacrime finor versai”), Malcom rimane in scena e ascolta di nascosto il dialogo fra Douglas e la figlia, che vorrebbe convincere il padre a rimandare le proprie nozze con Rodrigo. Douglas le impone severamente di obbedire e parte per incontrare Rodrigo. Malcom ed Elena si giurano fedeltà e intonano un duettino in un solo movimento. L’atmosfera marziale annunciata dalla precedente aria di Douglas, si impone ora con la scena dell’ingresso di Rodrigo, salutato dai suoi guerrieri e annunciato da una marcia per la quale viene utilizzata la banda sul palco, da Rossini impiegata per la prima volta l’anno precedente, in Ricciardo e Zoraide. La seconda sezione dell’aria di Rodrigo è dedicata al pensiero di Elena, di cui anche il guerriero è innamorato. Nella scena di Rodrigo sono intrecciate le due dimensioni espressive sulle quali è costruito l’intero finale d’atto: momenti privati di intima lacerazione (“Come celar le smanie”, intonato da Elena nel terzetto che costituisce il primo tempo del finale) si alternano a momenti pubblici, ‘politici’, di impeto patriottico e bellico. Fra questi vi sono l’entrata di Malcom al suono della banda e il grandioso coro dei bardi che conclude l’atto in una stretta elaborata. È abbastanza singolare la scelta del librettista, di concludere la scena puntando sull’effetto corale e relegando i drammi intimi dei protagonisti sullo sfondo: quando viene annunciato l’arrivo di un drappello nemico, un giuramento solenne è proposto da Rodrigo e ripreso da tutti i guerrieri; un crescendo orchestrale porta al canto di guerra sciolto dai «sacri cantori» per infondere coraggio, in tonalità maggiore (“Già un raggio forier”), al quale rispondono le donne in tonalità minore. L’accompagnamento dell’arpa e l’indicazione moderato hanno forse tratto in inganno alcuni direttori d’orchestra e alcuni commentatori, che definiscono questa pagina in termini di raffinata eleganza. In realtà, la costruzione contrappuntistica dei motivi, nello sviluppo del brano (si veda la ripresa del tema ‘bandistico’ dell’entrata di Malcom), ne fa una delle pagine più dense del Rossini napoletano: una pagina decisamente marziale e vigorosa, che il compositore rielaborò come Coro per il terzo centenario della nascita del Tasso(1844) e come Grido di esultazione riconoscente al sommo pontefice Pio IX(1846).
Elegante e raffinata è invece la cavatina di apertura del secondo atto, introdotta dal corno solista e cantata da Uberto (“O fiamma soave”), che si aggira per una «folta boscaglia», in abito da pastore: ha scoperto il rifugio in cui è nascosta Elena, mentre continua la guerra fra i clan alpini e le truppe del re. Quando egli trova il coraggio di dichiarare il proprio amore alla donna, questa è oppressa dall’affanno e dall’imbarazzo. Uberto decide civilmente di non importunare più l’amata e prima di partire le dona un anello con il quale essa potrà domandare al re la grazia per i suoi congiunti, ma i due sono sorpresi da Rodrigo, che chiama a raccolta i guerrieri e sfida il rivale. Senza cesure il brano iniziato come duetto (“Alla ragion deh rieda”) si sviluppa nel complesso terzetto, che ne costituisce la grandiosa stretta. Sorprendente è il tempo lento del duetto, “Nume se a miei sospiri”, in cui Rossini inserisce alternativamente i versi cantati da Elena e Uberto ‘fra sé’, come se fossero su due piani paralleli: per alcune battute, Elena canta le sue frasi in una tonalità (la bemolle maggiore, su un accompagnamento di terzine, ai fiati) e Uberto inserisce i suoi interventi in un’altra (do minore, su tremolo degli archi), senza che le due prospettive si fondano, se non al termine, quando finalmente i personaggi cantano assieme (in seste parallele), anche se riaffiorano i minacciosi tremoli degli archi, in orchestra. È qui evidente uno degli artifici di cui dispone il compositore- narratore, per rendere l’alternanza dei punti di vista, delle prospettive dei personaggi, in una sorta di ‘montaggio parallelo’. L’inizio della prima cabaletta del duetto è anche l’inizio del terzetto, perché alla melodia discendente, a canone, di Elena e Uberto (“Qual pena in me già desta”), si aggiunge la frase, paralizzata su una stessa nota, di Rodrigo (“Misere mie pupille”), nascosto a spiare i due. La gelosia di Rodrigo prorompe poi in una cascata di virtuosismi, ripresi e imitati da Uberto: Elena è circondata da due spasimanti non graditi, l’effetto stereofonico di eco fra le voci che si imitano nelle frasi virtuosistiche accentua l’idea di soffocamento, e indica che il ‘punto di vista’, in questa scena, è quello della protagonista. Quando Rodrigo si svela e chiama i guerrieri, all’accendersi del duello Elena esplode in una frase scolpita in tonalità minore (“Io son la misera”), che focalizza il suo sconvolgimento ed è ripresa a canone dai due rivali, generando un altro intreccio contrappuntistico e imitativo fra le voci.
Formalmente più convenzionale è il seguito dell’opera: Malcom viene a sapere che Elena si è recata alla corte del re, per salvare il padre, costituitosi. Nella battaglia hanno prevalso le truppe reali e Rodrigo è stato ucciso nel duello con l’ignoto rivale. A corte, Elena chiede di essere ammessa alla presenza del re per mostrargli l’anello donatole da Uberto e chiedere così la grazia per Douglas. Ascolta la voce di Uberto che intona, su diverse parole, la melodia di “O mattutini albori” e apprende che egli è in realtà Giacomo V. Il re concede grazia a Douglas e a Malcom: Elena può intonare “Tanti affetti in un momento”, fuoco d’artificio che suggella il lieto fine e che sarà ripreso inBianca e Fallieroe per il rifacimento veneziano delMaometto II.
Penultima delle nove opere serie scritte da Rossini per Napoli, la Donna del lago è la terza delle quattro nate nel 1819: segue la napoletana Ermione e il ‘centone’ organizzato per Venezia, Eduardo e Cristina. In realtà, dopo Ermione Rossini non avrebbe dovuto scrivere per Barbaja fino alla quaresima dell’anno successivo, ma il forfait di Gaspare Spontini, scritturato al San Carlo e richiesto imperiosamente nello stesso tempo a Berlino da Federico Guglielmo III di Prussia, obbligò l’impresario a ricorrere nuovamente al Pesarese per colmare il vuoto nel cartellone. A Rossini fu necessario l’aiuto di un collaboratore, che stese quasi tutti i recitativi accompagnati e compose l’aria di Douglas. L’opera andò in scena al San Carlo di Napoli con Isabella Colbran, Rosmunda Pisaroni, Andrea Nozzari, Giovanni David e Michele Benedetti: una compagnia già sperimentata nel Ricciardoe nell’ Ermione. L’ultima rappresentazione ottocentesca sembra essere stata quella del 1860 a Trieste; poi, un lungo oblio fino alle riprese moderne, ampiamente rimaneggiate: al Maggio musicale fiorentino (1958, direttore Tullio Serafin), a Londra (1969, Camden Town Hall, con Kiri Te Kanawa), alla Rai di Torino (1970, con Montserrat Caballé), al Comunale di Bologna (1975, con Angeles Gulin). La prima ripresa autentica, integrale e basata sull’edizione critica di H. Colin Slim (edita solo nel 1990), è quella del settembre 1981 al Rossini Opera Festival pesarese, direttore Maurizio Pollini, interpreti Lella Cuberli e Martine Dupuy. Ricordiamo anche le rappresentazioni di Houston e New York (1981-82, con Marilyn Horne, Federica von Stade, Rockwell Blake e Dano Raffanti), la ripresa dell’allestimento di Pesaro nel 1983 (Katia Ricciarelli e Lucia Valentini Terrani) e l’edizione del Teatro alla Scala, diretta da Riccardo Muti nel 1992 (con June Anderson, Martine Dupuy, Chris Merritt e Rockwell Blake).
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini&Castoldi
Melodramma in due atti
di Andrea Leone Tottola
PERSONAGGI
Giacomo V, Re di Scozia, Tenore
sotto il nome del CavalierUberto di Snowdon,
Douglas d’Angus, Basso
Rodrigo di Dhu, Tenore
Elena, Soprano
Malcolm Groeme, Contralto
Albina, Mezzosoprano
Serano, Tenore
Bertram, Basso
Pastori, Pastorelle, scozzesi
Bardi
Grandi. Dame, scozzesi
Guerrieri del Clan Alpino, Cacciatori, Guardie reali
L’azione è nella Scozia, e propriamente in Stirling e sue vicinanze.
ATTO PRIMO
La scena presenta la famosa rocca di
Benledi, che, coverta alla vetta da folta
boscaglia, e quindi allargandosi al basso,
forma una spaziosa valle, nel centro della
quale è il Lago Kattrine, originato dalle
acque cadenti, cui sovrasta ardito ponte di
tronchi di alberi.
Sorge l’aurora.
SCENA PRIMA
Pastori e pastorelle, che rendonsi a’ campestri lavori.
Sull’alto cacciatori, che inoltransi nel bosco.
PASTORELLE
Del dì la messaggiera
Già il crin di rose infiora.
PASTORI
Dal sen di lei che adora,
Già fugge rapido
L’astro maggior.
TUTTI
Ed al suo lucido
Brillante aspetto
Ripiglia ogni essere
Vita e vigor.
CACCIATORI
Figli di Morve!
Su su! alle selve!
Le caledonie
Temute belve
A noi preparano
Novello allor.
(Perdonsi di vista).
PASTORI
A’ nostri riedasi
Lavori usati.
PASTORELLE
Come verdeggiano
Ridenti i prati…
PASTORI
Al par che ombreggiano
Le querce annose.
PASTORELLE
Come spontanee
Sorgon le rose…
TUTTI
Così a’ sudori
Del buon cultor,
Grate rispondano
Le piante, i fior.
(S’incamminano per varie strade).
CACCIATORI
(di lontano)
Su su! alle selve!
Le irsute belve
A noi preparano
Novello allor.
SCENA SECONDA
Elena in un battello nel lago; indi Uberto
dalla rocca.
ELENA
Oh mattutini albori!
Vi ha preceduti Amor.
Da’ brevi miei sopori
A ridestarmi ognor
Tu vieni, o dolce immagine
Del caro mio tesor!
Fugge, ma riede il giorno;
Si cela il rio talor,
Ma rigorgoglia intorno
Di più abbondante umor;
Tu a me non torni, o amabile
Oggetto del mio ardor!
(Si ode il vicino suono di un corno, che viene
ripetuto di lontano).
Qual suon! Sull’alta rocca
Già le fiere a domar van di Fingallo
I ben degni nepoti. Oh! se fra quelli
Si aggirasse Malcolm! vana speranza!
Rapido qual baleno
Ei sarebbe volato a questo seno.
(Giunta alla riva, scende dal battello, che
attacca ad un tronco).
UBERTO
(Eccola! alfin la rendi
All’avido mio sguardo, o Ciel piétoso!
No, non mentì la fama,
Anzi è minor di sua beltade il grido.)
ELENA
Di questo lago al solitario lido
Chi ti guida? chi sei?
UBERTO
Da’ miei compagni,
Una cerva inseguendo,
Mi allontanai. Fra queste
Alpestri, incerte balze il piè inoltrai,
E, già la via smarrita,
A domandarti aita io mi volgea
A te, non donna, ma silvestre dea.
(Fingasi.)
ELENA
Amico asilo
Ti sia la mia capanna: all’altra sponda
Meco, se il vuoi, signor, recar ti dei.
UBERTO
Ah sì, del mio destin l’arbitra sei.
ELENA
Scendi nel piccol legno,
Al fianco mio ti assidi.
UBERTO
Oh del tuo cor ben degno
Eccesso di bontà!
ELENA
Sei nella Scozia, e ancora
Non sai che qui si onora
Pura ospitalità?
UBERTO
Deh!… mi perdona… (oh Dio!
Confuso appien son io!)
ELENA
Ah sgombra omai l’affanno,
Lieto respiri il cor.
UBERTO
(Un innocente inganno
(Guadando insieme il lago).
SCENA TERZA
Da varie balze giungono al piano i cacciatori
anelanti in traccia d’Uberto.
CORO DI CACCIATORI
(una parte)
Uberto! ah! dove ti ascondi? Uberto!
ALTRA PARTE
Donde tracciarlo? come trovarlo?
I PRIMI
La fosca selva… l’alpestre, il piano
Si è già percorso, ma tutto invano!
GLI ALTRI
Lo invola al certo…
TUTTI
Uberto! Uberto!
L’eco risponde! speme non v’ha!
Veloci scorransi altri sentieri…
I PRIMI
Noi là… sul monte…
GLI ALTRI
Noi verso il fonte…
TUTTI
Chi a ravvisarlo primier sarà
Agli altri segno dar ne potrà.
Tu, che ne leggi nel cor fedel,
Al nostro sguardo lo addita, o Ciel!
(Si disperdono per diverse strade).
Albergo di Douglas. Veggonsi sospese alle
pareti le sue armi e quelle degli antenati.
SCENA QUARTA
Albina e Serano.
ALBINA
E in questo dì?
SERANO
Tel dissi: atteso giunge
Rodrigo.
ALBINA
(Elena! oh quanto
Ti fia grave un tal dì!)
SERANO
Quei fidi amici,
Cui spento ancor nel petto
Non è l’avito ardor, raccoglie intorno
Il belligero eroe. Sacro in quell’alma
Di patria amor tutto l’investe, e ardito
L’impeto incauto ad arrestar lo spinge
Di Giacomo, che queste
Contra ogni legge invade
Pacifiche contrade. Ah! regga il Cielo
Così nobil desìo, sì puro zelo!
ALBINA
E di Elena la destra?
SERANO
In dolce pegno
Di tenace amistà Douglas destina
A sì prode guerrier.
ALBINA
(Tutte prevedo
Le pene di quel cor!)
SERANO
Tu vieni intanto
A’ domestici uffici,
Che maggiori in tal giorno
Fa un ospite sì degno: il sai, diviso
Fia più lieve il giorno.
ALBINA
(Quanto m’affanna, o amica, il tuo martoro!)
(Entrano).
SCENA QUINTA
Elena ed Uberto.
ELENA
Sei già nel tetto mio: dorata stanza,
Dove il fasto pompeggia,
Ove il lustro grandeggia,
Questa non è; ma, semplice ed umile,
Qui raccoglie secure
Dall’invido livore
Pace, amistade, amor filiale, onore.
UBERTO
(Felice albergo! oh quanta
Beltà, virtù racchiudi!)
ELENA
Il lasso fianco
Posar ti piaccia.
UBERTO
(sorpreso)
(Ah! qual ravviso intorno
Ornamento guerrier! no… non m’inganno…
Di cavalier scozzese
Che gli avi miei seguì, veggo l’arnese!
Ove son io? e in qual periglio!)
ELENA
E donde
Il tuo cupo silenzio? a che dubbioso
Volgi intorno lo sguardo?
UBERTO
Amabil diva!
Se a te nol vieta alta cagion, deh lascia,
Ch’io conosca a chi debba
Tratto così gentil?
ELENA
Vanto nel padre
Il famoso Douglas.
UBERTO
(in uno slancio che poi reprime)
Ah!
ELENA
Lo conosci?
UBERTO
Per fama… e chi nol sa?
ELENA
Civil discordia
Lo rapì dalla corte!
UBERTO
Oh quanto ancora
N’è Giacomo dolente!
ELENA
E chi tel disse?
UBERTO
Voce sparsa così… (mal cauto ardore!
Non mi svelar: che mai di me sarebbe
Se giungesse Douglas?)
ELENA
Ma pensieroso
Chi ti rende così?
UBERTO
Di tue pupille
Il soave balen… di quegli accenti
Il dolce suon… ma… chi a noi vien?
ELENA
Le care
Compagne mie son quelle,
Che all’apparir del giorno
Sollecite al mio sen fanno ritorno.
SCENA SESTA
Entrano le compagne d’Elena, che circondandola
le dirigono il seguente coro.
Infine Albina.
CORO
D’Inibaca,
Donzella,
Che fe’
D’immenso amor
Struggere un dì
Tremmor,
Terror del Norte,
Sei Elena
Più bella:
Per te
Di pari ardor
Avvampa così
Ognor Rodrigo, il forte.
UBERTO
(Rodrigo! che mai sento!)
ELENA
(Funesta rimembranza!)
UBERTO
(Di gelosia tormento!
Io già ti provo in me.)
ELENA
(Affetti miei! speranza
Più il Ciel a voi non diè!)
CORO
Indissolubili – Dolci ritorte,
O coppia amabile! – In te deh annodino
Beltà e valor.
E da l’eterea, – Celeste corte
I genii pronubi, – Il lieto innalzino
Canto di amor!
UBERTO
Sei già sposa? ed è Rodrigo,
Che dal Ciel tal sorte attende?
ELENA
Le mie barbare vicende
Che ti giova penetrar?
UBERTO
Forse… ah di’… non è l’oggetto
Che tu adori? un altro amante
Sospirar, languir ti fa?
ELENA
Ah! mi tolse un solo istante
Del mio cor la libertà.
UBERTO
(Quali accenti! e deggio in seno
Dolce speme alimentarti?
Ah sì! annunzi un tuo baleno
Tanta mia felicità!)
ELENA
(Quai tormenti! e come in seno
Posso, o speme, alimentarti?
Da me fugge qual baleno
Ogni mia felicità.)
UBERTO
(Ma son sorpreso
Se qui più resto!
Oh qual contrasto
Crudele è questo!)
Le compagne di Elena versano della cervogia
in una tazza a guisa di piccola conca e la porgono
ad Elena, dalla quale vien presentata ad Uberto,
che beve mentre esse cantano).
ELENA
L’ospital conca
Da me ricevi,
Gli oppressi spirti
Rinfranca, e bevi.
CORO
Ti siano fausti
I genii lari,
E a te sorridano
Pace, amistà.
UBERTO
Il tuo bel core
Deh a me conceda,
Che a’ miei compagni
Ben tosto io rieda.
ELENA
(vedendola giungere)
L’amica Albina,
Che all’uopo arriva,
All’altra riva
Ti condurrà.
UBERTO
Bella! al tuo lato
Sempre sarei!
ELENA
(con contegno imponente)
Hai tu obbliato,
Che ospite sei?
UBERTO
Lascia che imprima
Su quella mano…
ELENA
Costume in Morve
Non v’ha sì strano.
UBERTO
(Da lei dividermi
Come potrò?)
ELENA
(Qual dolce immagine
In me destò!)
UBERTO
(Cielo! in qual estasi
Rapir mi sento
D’inesprimibile
Dolce contento!
Di quai delizie
M’inebbria Amore!
Che cari palpiti
Pruovar mi fa!)
ELENA
(Cielo! in qual estasi
Rapir mi sento,
Se il mio bell’idolo
Talor rammento!
Di quai delizie
M’inebbria Amore!
Che cari palpiti
Pruovar mi fa!)
UBERTO e ELENA
Addio!
UBERTO
(Deh placati,
Fato crudel!)
ELENA
Propizio
Ti assista il Ciel!
(Elena entra nelle sue stanze. Uberto esce
scortato da Albina e dalle donzelle).
SCENA SETTIMA
Dalla parte opposta donde sono partiti
gl’indicati attori, si avanza concentrato ed a
passo lento il giovane Malcolm. Giunto in
mezzo alla scena, si scuote dal suo letargo,
guarda mestamente intorno, indi dice:
MALCOLM
Mura felici, ove il mio ben si aggira!
Dopo più lune io vi riveggo: ah! voi
Più al guardo mio non siete,
Come lo foste un dì, ridenti e liete!
Qui nacque, fra voi crebbe
L’innocente mio ardor: quanto soave
Fra voi scorrea mia vita
Al fianco di colei,
Che rispondea pietosa a’ voti miei!
Nemico nembo or vi rattrista, e agghiaccia
Il mio povero cor! mano crudele
A voi toglie, a me invola… oh rio martoro!
La vostra abitatrice, il mio tesoro.
Elena! oh tu, ch’io chiamo!
Deh vola a me un istante!
Tornami a dire: “io t’amo!”
Serbami la tua fé!
E allor, di te sicuro,
Anima mia! lo giuro,
Ti toglierò al più forte,
O morirò per te.
Grata a me fia la morte,
S’Elena mia non è.
Oh quante lacrime – Finor versai
Lungi languendo – Da’ tuoi bei rai!
Ogn’altro oggetto – È a me funesto;
Tutto è imperfetto, – Tutto detesto;
Di luce il cielo – No più non brilla,
Più non sfavilla – Astro per me.
Cara! tu sola – Mi dai la calma,
Tu rendi all’alma – Grata mercé!
SCENA OTTAVA
Serano e detto, poi Douglas ed Elena.
SERANO
Signor, giungi opportuno: al vallo intorno
Già di guerrieri eletta schiera è giunta,
E di poco precede
Il famoso Rodrigo. Oh come esulta
Douglas di gioia! un avvenir felice
Alla Scozia, alla figlia, a lui predice.
MALCOLM
(Qual fiero stato è il mio!
Straziata ho l’alma, e simular degg’io!)
SERANO
Tu non rispondi? il ciglio
Grave hai di pianto?
MALCOLM
Amico,
Lasciami al mio destin!
SERANO
(Ah! lo compiango!
Penetro la cagion del suo dolore!)
(Parte).
MALCOLM
Eccola! e con Douglas! forza o mio core!
(Resta inosservato).
DOUGLAS
Figlia, è così: sereno è il Cielo, arride
Di ogni alma a’ voti, e già di lieti evviva
In queste un tempo erme contrade or senti
Mille voci echeggiar. La Scozia oppressa
Le ombre irate degli avi al solo eroe,
Cui l’onor di esser sposa è a te serbato,
Volgon fremente il ciglio, e ‘l patrio onore
Affidano al suo brando. A te sol resta
Coronar tanta impresa, e la tua mano
Nel ben sentier di gloria,
L’alto campione affretti alla vittoria.
MALCOLM
(E resisto? e non moro!)
ELENA
(smaniando da sé)
Oh padre! e quando
Ferve bollor di guerra, allor che all’armi
Corre ogni età, mentre lo scudo imbraccia
La debil fanciullezza,
La tremula canizie, e tutto al guardo
Stragi presenta e bellici furori,
Parli di nozze, e vai destando amori?
MALCOLM
(Ah! mi è fedel!)
DOUGLAS
Sul labbro tuo stranieri
Son questi accenti, e fia l’estrema volta,
Ch’io da te l’oda. Ad obbedirmi apprenda
Chi audace mi disprezza:
Onte a soffrir non è quest’alma avvezza.
Taci, lo voglio, e basti;
Meglio il dover consiglia:
Mostrami in te la figlia
Degna del genitor.
Di un passaggero orgoglio
Perdono in te l’eccesso;
Ti dica questo amplesso,
Che mi sei cara ancor.
(Si sentono da lungi squillar le trombe).
Ma già le trombe squillano!
Giunge Rodrigo! oh sorte!
Io ti precedo: sieguimi,
Ed offri al prode, al forte
In puro omaggio il cor.
Di quelle trombe al suono
Ah! ridestar mi sento
Nel core, di forze spento,
L’usato mio valor.
(Parte).
ELENA
E nel fatal conflitto
Di amore e di dover, fra tante pene,
Elena, che farai?
MALCOLM
Mio caro bene!
ELENA
Malcolm! stelle! tu qui?
MALCOLM
Mi chiama in campo
Quella ragione istessa,
Che arma i prodi di Scozia.
ELENA
E in quale istante
Giungesti!
MALCOLM
E che? dell’amor tuo poss’io,
Elena, dubitar?
ELENA
Crudele! e puoi
Oltraggiarmi così?
MALCOLM
Se fida è dunque
A me quell’alma, io sfiderò le stelle:
Sì, de’ nostri tiranni
Resisterò al poter.
ELENA
Saprò morire
Esempio di costanza.
MALCOLM
A me la mano
Di giuramento in pegno.
ELENA
Eccola.
ELENA e MALCOLM
O sposi, o al tenebroso regno.
Vivere io non potrò,
Mio ben, senza di te;
Fra l’ombre scenderò
Pria che mancar di fé.
(Partono).
Vasta pianura, circondata da alti monti:
si vede da lungi altra parte del lago.
SCENA NONA
Rodrigo si avanza in mezzo ai guerrieri
del clan, che lietamente l’accolgono; indi
Douglas.
CORO
Qual rapido torrente,
Che vince ogni confin,
Se torbido e fremente
Piomba dal giogo alpin,
Così, se arditi in campo
Ne adduce il tuo valor,
Non troverà più scampo
L’ingiusto, l’oppressor.
Vieni, combatti e vinci,
Corri a’ novelli allori:
Premio di dolci ardori
Già ti prepara Amor.
RODRIGO
Eccomi a voi, miei prodi,
Onor del patrio suolo;
Se meco siete, io volo
Già l’oste a debellar.
Allor che i petti invade
Sacro di patria amore,
Sa ognor di mille spade
Un braccio trionfar.
CORO
Sì, patrio onor c’invade,
Guidaci a trionfar!
RODRIGO
Ma dov’è colei, che accende
Dolce fiamma nel mio seno?
De’ suoi lumi un sol baleno
Fa quest’anima bear!
Fausto Amor se a me sorride,
Io non so che più bramar!
Ed allor, qual nuovo Alcide,
Saprò in campo fulminar.
CORO
A’ tuoi voti Amor sorride,
Ah! ti affretta a giubilar!
DOUGLAS
Alfin mi è dato, amico,
Stringerti al sen: ah! di sì grato istante
Bramosa l’alma mia, più dell’usato
Le ali al tempo agitò.
RODRIGO
Di egual desìo
Fu anelante il mio cor.
DOUGLAS
Venga, e ne offenda
Or Giacomo, se il può. Rodrigo è in campo?
Seco è vittoria. Eventi i più felici
Brillano già da così lieti auspici.
RODRIGO
Se il saggio tuo consiglio
Il mio braccio avvalora,
Non dubitar, salva è la patria allora.
DOUGLAS
Il presagio felice
Avveri il Ciel!
RODRIGO
Ma teco
A che non è la figlia?
DOUGLAS
Io la precedo
Di pochi passi.
RODRIGO
Ignora forse il mio
Impaziente ardor?
DOUGLAS
Eccola!
RODRIGO
Amici!
Voi l’amata mia diva
Accogliete con plausi e lieti evviva.
SCENA ULTIMA
Elena, Albina e detti, indi tutti a suo tempo.
CORO
Vieni, o stella – Che lucida e bella
Vai brillando – Sul nostro orizzonte!
Tu serena – Deh mostra la fronte
A chi altero – È di tanta beltà.
E come brina,
Che mattutina,
La terra adusta
Bagnando va,
Così l’aspetto
De’ tuoi bei lumi
Di gioia il petto
Gl’inonda già.
RODRIGO
Quanto a quest’alma amante
Fia dolce un tale istante
Non può il mio labbro ‘esprimerti,
Né trova accenti Amor.
Ma che? tu taci, e pavida
Il ciglio abbassi ancor?
DOUGLAS
Loquace è il suo silenzio;
Il sai: loclinia vergine
Gli affetti suoi più teneri
Consacra al suo pudor.
ELENA
(Come celar le smanie
Che straziano il mio cor?
Non posso… oh Dio! resistere
A così rio dolor!)
DOUGLAS
(Del tuo dover dimentica
Ti rende altro amator?
Figlia sleal! paventami,
Trema del mio furor.)
RODRIGO
(A che i repressi gemiti?
A che quel suo pallor?
Ondeggio incerto, e palpito
Fra speme e fra timor!)
ELENA, RODRIGO e DOUGLAS
(Di opposti affetti un vortice
Già l’alma mia circonda…
Caligine profonda
Già opprime i sensi miei
Del più fatale orror!
Per sempre io ti perdei,
O calma del mio cor!)
(Malcolm alla testa de’ suoi seguaci si presenta
a Rodrigo).
MALCOLM
La mia spada, e la più fida
Schiera eletta a te presento:
Al cimento, a fier periglio,
Alla morte ancor me guida:
Mostrerò che un degno figlio
Può vantar la patria in me.
(Ah! di freno e di consiglio
Più capace il cor non è!)
ELENA
(Ah! lo veggo, e di consiglio
Più capace il cor non è!)
DOUGLAS
(Figlia iniqua, il tuo scompiglio
Veggo or ben chi desta in te!)
RODRIGO
Questo amplesso a te fia pegno
Di amichevoli ritorte:
La mia gioia or colma è al segno
Fra l’amico e la consorte!
Oh quai vincoli soavi
Di amistade e pura fé!
MALCOLM
La consorte! e chi?
RODRIGO
Nol sai?
DOUGLAS
Qual sorpresa!
RODRIGO
A’ dolci rai
Ardo ognor d’Elena bella…
MALCOLM
(in uno slancio inconsiderato)
Ah! non fia!
DOUGLAS
Che?
RODRIGO
Qual favella?
ELENA
Ah! non fia che a te contrasti
Sorte avversa il bel contento…
Volea dir…
MALCOLM
Ma…
ELENA
Tal momento
Fa quell’anima gioir…
(rapidamente e di nascosto a Malcolm
per frenarlo)
(Taci… oh Dio! per te pavento!
Ah! pietà del mio martir!)
RODRIGO
(Crudele sospetto,
Che mi agiti il petto,
Ah taci! comprendo…
Già d’ira m’accendo!
Le furie di averno
In seno mi stanno!
Sì barbaro affanno
No, pari non ha!)
ELENA e MALCOLM
(Ah celati o affetto
Nel misero petto!
Ei tutto comprende!
Minaccia! si accende!
E intanto quest’alma
Oppressa, smarrita,
Non trova più aita,
Più pace non ha!)
DOUGLAS
(Ah! l’ira, il dispetto,
Mi straziano il petto!
Ei tutto comprende!
Minaccia! si accende!
Sì… sono implacabile…
Vendetta mi affretta…
Un padre più misero
La terra non ha!)
ALBINA e CORO
(Crudele sospetto
Gli serpe nel petto!
Quai triste vicende!
Si adira! si accende!
Il Ciel par che ingombri
Un nembo assai fiero…
Sì cupo mistero
Qual termine avrà?)
(Giunge Serano frettoloso. I bardi lo seguono).
SERANO
Sul colle a Morve opposto
O stil drappello avanza…
CORO
Nemici!
DOUGLAS
Oh qual baldanza!
CORO
Nemici!
RODRIGO
Andiam… disperdansi…
Distruggansi gli audaci…
MALCOLM, RODRIGO e DOUGLAS
(Privato affanno ah taci!
Trionfa o patrio amor!)
RODRIGO
(a’ bardi)
A voi, sacri cantori!
Le voci ormai sciogliete:
In sen bellici ardori
Destate su, muovete;
Ed al tremendo segno,
Che a battagliar ne invita,
Mi giuri ogn’alma ardita
Di vincere o morir.
MALCOLM, DOUGLAS e CORO
Giura quest’alma ardita
Di vincer o morir.
(Un capitano reca e solleva in alto un
grande scudo, che fu del famoso Tremmor
secondo la tradizione degli antichi Brettoni.
Rodrigo con la sua lancia vi batte sopra tre
volte. Rispondono egualmente tutti i
guerrieri, battendo le aste su’ loro scudi).
UN PRIMO BARDO
Già un raggio forier
D’immenso splendor,
Addita il sentier
Di gloria, di onor.
GLI ALTRI BARDI
Oh figli di eroi!
Rodrigo è con voi.
Correte, struggete
Quel pugno di schiavi…
Già l’ombre degli avi
Vi pugnano allato…
Voi, fieri all’esempio
Di tanto valor,
Su, su! fate scempio
Del vostro oppressor!
ALBINA
E vinto il nemico,
Domato l’audace,
La gioia, la pace
In voi tornerà.
LE DONZELLE
E allora felici
Col core sereno
Le spose, gli amici
Stringendovi al seno,
L’ulivo all’alloro
Succeder saprà.
BARDI
Oh figli di eroi!
Rodrigo è con voi…
Correte, struggete
Il vostro oppressor.
RODRIGO
Allarmi o campioni!
La gloria ne attende…
(Qui una brillante meteora sfolgoreggia
nel cielo; fenomeno in quella regione
non insolito. Sorpresa in tutti).
TUTTI
Di luce si accende Insolita il ciel!
RODRIGO e DOUGLAS
D’illustre vittoria
Annunzio fedel!
BARDI
Correte… struggete
Il vostro oppressor.
MALCOLM, RODRIGO e DOUGLAS
Su… amici! guerrieri!
CORO DI GUERRIERI
Marciamo! struggiamo
Il nostro oppressor!
ALBINA, ELENA e DONZELLE
Su i nostri guerrieri
Compagne! imploriamo
Del Cielo il favor.
(Le donzelle con Albina si ritirano seguendo Elena,
mentre Rodrigo marciando alla testa di poderosa
schiera, Malcolm guidando i suoi seguaci, ed altri
duci facendo lo stesso pel piano e per le colline,
sgombrano interamente la scena, e si cala il sipario).
ATTO SECONDO
Folta boscaglia: grotta da un lato.
SCENA PRIMA
Uberto da pastore, indi Elena e Serano dalla
grotta.
UBERTO
Oh fiamma soave,
Che l’alma mi accendi!
Pietosa ti rendi
A un fido amator.
Per te forsennato
Affronto il periglio:
Non curo il mio stato,
Non ho più consiglio;
Vederti un momento,
Bearmi in quel ciglio
È il dolce contento,
Che anela il mio cor!
Sì, per te mio tesoro, in rozze spoglie,
Che al guardo altrui celar mi sanno, e in questa
Inospita foresta
Mi guida un cieco amor. Da che ti vidi
Perdei la pace, e porti in salvo io bramo
Dagli eventi di guerra, or che di sangue…
Di patrio sangue… ahi lasso!
Rosseggerà la Scozia. Ah! fu mendace
Forse colui, che, da me compro, il tuo
Solingo asilo a me svelò? qual fato
Crudele a me ti asconde?
Solo a’ gemiti miei l’eco risponde.
(Si aggira per la scena).
ELENA
(a Serano)
Va’, non temer: è meco Albina. Ah vola
Del padre in traccia. Egli tornar promise
Pria della pugna, e il termine già scorre,
Che al ritorno prefisse. Oh quanti in seno
Nuovi palpiti desta
Tanta tardanza, al mio timor funesta!
SERANO
Calma l’affanno: ad appagarti or vado;
Abbi cura di te.
(Parte).
ELENA
Da quanti affanni
È straziato il mio cor!
UBERTO
(ravvisandole)
Nume possente!
Tu arridi a’ voti miei!
ELENA
Un uom! Si fugga…
UBERTO
Ah ferma!
ELENA
E tu chi sei?
UBERTO
Non mi ravvisi?
ELENA
E chi?
UBERTO
Cure ospitali
Mi prodigò la tua bell’alma.
ELENA
Ah! è vero!
Or ti conosco. Ebben? da me che chiedi?
Chi spinge i passi tuoi? qual nutri ardire?
UBERTO
Dirti ch’io t’amo, e di tua man morire.
ELENA
Intempestivo ardor!
UBERTO
De’ tuoi bei lumi
Chi resiste al poter? E chi vederti
Può senza amarti? ah! se il tuo cor risponde
All’aspetto gentile;
Se qualche lusinghier, soave accento,
Che ti sfuggì dal labbro allor che teco
Io fui, non m’ingannò, non puoi, non dei
Esser crudele a chi t’adora.
ELENA
Oh quanto
Mi fai pietà!
UBERTO
Pietà tu senti? ah dunque
Spera mercede il mio cocente ardore?
ELENA
Ah! nol poss’io! non è più meco il core!
UBERTO
Come?
ELENA
Giova a te dirlo, onde fia spenta
La tua fiamma nascente. Amor mi strugge
Pel mio Malcolm. Inviolabil fede,
O morte io gli giurai del padre ad onta,
Che all’odiato Rodrigo
La mia destra promise. Ah! tu ben vedi,
Che spergiura io sarei,
Mostro d’infedeltade
Detestevole, orrendo,
Se i tuoi voti accogliessi.
UBERTO
Oh me dolente!
O sventurato amore!
ELENA
Mi fai pietà… ma non ho meco il core!
Alla ragion deh rieda
L’alma agitata, oppressa,
Ed all’amor succeda
La tenera amistà.
UBERTO
Arcani sì funesti
Perché tacermi, ingrata!
Allor che mi rendesti
Preda di tua beltà?
ELENA
Che amavi io non sapea…
UBERTO
Non tel diss’io?
ELENA
Credea,
Che gentilezza…
UBERTO
Amore…
Sì… in me possente Amore
Fiamma destò vorace ….
E la sua cruda face
Struggermi appien saprà!
ELENA
(Nume! se a’ miei sospiri
Pace donar non sai,
Almen de’ suoi martiri
Calma la crudeltà!)
UBERTO
(Io del suo cor tiranno?
Farla infelice io stesso?
Ah no… di Amore a danno
Virtù trionferà.)
Vincesti… addio!… rispetto
Gli affetti tuoi…
ELENA
Ten vai?
UBERTO
A che mirar quei rai
Severi ognor per me?
ELENA
Se de’ tuoi giusti lai
La rea cagion son io,
Squarciami un cor che mai
Darti saprà mercé!
UBERTO
No, cara: anzi desio
Pegno di mia costanza
Lasciarti in rimembranza,
Che sacro io sono a te.
ELENA
E qual?
UBERTO
Da rio periglio
Salvai di Scozia il Re.
Il suo gemmato anello
Egli mi dié: tel dono.
(Le mette al dito il suo anello).
Se mai destin rubello
Te, il genitor, l’amante
Sa minacciar, dinante
Ti rendi al Re: la gemma
Appena mostrerai,
Grazia per tutti avrai;
E ad appagarti intento
Sempre il suo cor sarà.
ELENA
E il mio rigor contento
Renderti… oh Dio! non sa?
UBERTO
Ah! basta al mio tormento
Destar la tua pietà.
SCENA SECONDA
Rodrigo in osservazione e detti.
RODRIGO
(Misere mie pupille!
Che più a mirar vi resta?
Oh gelosia funesta!
Oh ria fatalità!)
(Scovrendosi e dirigendosi ad Uberto).
Parla.. chi sei?
ELENA
(Rodrigo!)
UBERTO
(Egli! oh furor!)
ELENA
(Destino
Crudel!)
RODRIGO
Non sembri Alpino!
Sei tu del clan?
UBERTO
Ne aborro
L’infausto nome.
RODRIGO
Amico
Forse del Re?
UBERTO
Lo sono…
RODRIGO
Che ascolto?
ELENA
Incauto!
UBERTO
E tale!
Che te non teme, e quanti
Perversi ha il Re nemici.
RODRIGO
Perversi?
ELENA
Oh ciel! che dici!
Frenati!… ah qual martire!
UBERTO
Tu mi vedrai morire…
Non so che sia viltà.
ELENA
(Mi sento… oh Dio! morire!
Mancando il cor mi va!)
RODRIGO
(Qual temerario ardire!
Frenarmi e chi potrà?)
Né ancor ti arrendi, audace?
UBERTO
Ov’è il tuo stuol seguace,
Che i suoi doveri obblia?
Alla presenza mia
Impallidir saprà.
RODRIGO
Da’ vostri aguati uscite,
Figli di guerra!
(Al suo grido vedesi tutta la scena ingombra
in un istante di guerrieri del clan, che erano
nascosti ne’ folti cespugli del bosco).
GUERRIERI
A’ tuoi
Cenni siam pronti.
RODRIGO
Ostenta
Orgoglio, or più, se il puoi…
ELENA
Che miro! oh Dio!
RODRIGO
Paventa
Di quegli acciari al lampo…
Per te non vi è più scampo…
(a’ guerrieri, che nello slanciarsi si fermano
alle grida di Elena)
Ferite un traditor.
ELENA
Fermate!
UBERTO
E tu guerriero?
ELENA
Cedete a’ pianti miei…
UBERTO
No… di vil gregge sei
Malvagio conduttor!
RODRIGO
Cessate! io basto… io solo
Domar vo’ tant’orgoglio…
UBERTO
Un ferro… un’arme io voglio…
(Rodrigo gli dà la spada di un guerriero).
ELENA
Scenda in voi pace…
UBERTO e RODRIGO
Allarmi!
No… più non so frenarmi!
Mi guida il mio furor!
ELENA
Io son la misera,
Che morte attendo…
Su… su… scagliatevi…
Non mi difendo…
Se i giorni miei
Troncar vi piace,
Di orror la face
Si spegnerà.
UBERTO e RODRIGO
Vendetta! accendimi
Di rabbia il seno!
Nel petto ah versami
Il tuo veleno!
(Al rivale)
Vieni al cimento…
Io non ti temo…
L’istante estremo
Ti giungerà.
CORO
Ah! tanto ardire
Ne’ nostri petti
Oh come l’ire
Destando va!
(Rodrigo ed Uberto partono per un lato.
Elena li segue co’ guerrieri).
Grotta.
SCENA TERZA
Albina, indi Malcolm, poi Serano, infine coro
di Alpini.
ALBINA
Quante sciagure in un sol giorno aduna
L’avverso Ciel per tormentare un core!
Elena sventurata!
Per quanti cari oggetti
Palpitar ti vegg’io? né splende in cielo
Raggio di luce a dissipar quel velo,
Che covre il tuo destin…
MALCOLM
Elena… ah dimmi
Dov’è?
ALBINA
Di questo speco All’ingresso non era?
MALCOLM
Ah! no…
ALBINA
Del padre
Serve al cenno così? qui preservarla
Credea dall’ira ostil.
MALCOLM
Ah! ferve intanto
Terribil pugna… han le reali schiere
Penetrato nel clan: Rodrigo istesso
Con ignoto campione
È a singolar certame. Un cor pietoso
Mi fe’ sperar che qui trovata avrei
Elena mia. Salvarla, o in sua difesa
Perir volea.
ALBINA
Mosse le piante al fianco
Del fedele Serano, e poi…
(a Serano che giunge)
Ma… vieni.
Dimmi, e teco non riede
La figlia di Douglas?
SERANO
Del padre in traccia
Un suo cenno mi trasse: il vidi… oh Dio!
Smarrito in volto… “Ah vanne…
Vanne”, disse, “alla figlia, e la difendi.
Dille che al Re m’invio: se la mia morte
Può placar l’ira sua, se in questa guisa
Pace alla patria mia donar mi è dato,
Dille che il mio morir troppo è a me grato!”
MALCOLM
Come!
ALBINA
E ad Elena tu?
SERANO
Tutto narrai,
E già fuor di se stessa
Corre alla reggia.
ALBINA
Oh sciagurata! oh pena!
MALCOLM
Ah tu il sentier mi addita,
Che segnò l’infelice…
SERANO
Al par del lampo
Dal guardo mio sparì.
MALCOLM
Stelle spietate!
E a tante pene i giorni miei serbate?
Ah si pera: ormai la morte
Fia sollievo a’ mali miei,
Se s’invola me colei
Che mi resse in vita ognor.
Mio tesoro! io ti perdei!
Dolce speme del mio cor!
GUERRIERI
(di dentro)
Douglas! Douglas! ti salva!
ALBINA e SERANO
Quai voci!
MALCOLM
E chi si avanza?
GUERRIERI
Douglas dov’è?
MALCOLM
Che avvenne?
GUERRIERI
Ah! più non v’è speranza…
Cadde Rodrigo estinto…
ALBINA e SERANO
Avverso Ciel!
GUERRIERI
Ha vinto
Di Scozia il Re ….
MALCOLM
Che sento!
GUERRIERI
Ne insegue, e dà spavento
Già l’oste vincitrice…
MALCOLM
Che sento! oh me infelice!
Elena! amici! oh Dio!
Fato crudele e rio!
Fia pago il tuo furor!
Ah! chi provò del mio
Più barbaro dolor?
ALBINA, SERANO e GUERRIERI
Fato crudele e rio!
Fia pago il tuo furor.
(Malcolm parte co’ guerrieri).
ALBINA
E dove avrem noi scampo?
SERANO
Il mio destino
Io qui tranquillo attendo.
ALBINA
Oh qual sorse per noi giorno tremendo!
Stanza nella reggia di Stirling.
SCENA QUARTA
Giacomo, Douglas da guerriero, ma senza
elmo e spada, guardie, infine Bemam.
GIACOMO
E tanto osasti?
DOUGLAS
Io mi presento, o Sire
Volontario al tuo piè. Grazia non chieggo
Pe’ giorni miei. Di sanguinosa guerra
Arde la face, e la mia morte
Basta a spegnerla appieno. Ah! su la figlia,
E su quanti, pietosi al mio destino,
Mi difesero in campo,
Scenda la tua clemenza!
GIACOMO
E quale oggetto
Sotto ignote divise
Te condusse al torneo che celebrava
La mia vittoria? audace! a che ostentarmi
Tanto valor, tutti atterrando i prodi,
Che venner teco al paragon dell’armi,
E in aperta tenzon?
DOUGLAS
Sperai destarti
Delle antiche mie gesta
Rimembranza così: Giacomo solo,
Del precettor che l’educò alla gloria,
Riconoscer potea gli usati modi
Nel battagliar.
GIACOMO
Ma a cancellar non basta
I tuoi falli un tal passo.
(Alle guardie, che circondano Douglas)
Olà! serbate
Al mio sdegno costui.
DOUGLAS
Lo merito: attendo
In pace i cenni tuoi. Figlia infelice!
Sol mi è grave il morir, perché lasciarti
Deggio misera e sola!
GIACOMO
E ancor non parti?
(Douglas è condotto via).
Quanto all’alma tu costi,
Simulato rigor! son ne’ miei lacci
I più forti nemici… ah! se Malcolm…
Se quel rival…
BERTRAM
Signor, parlarti brama
Donna, molle di pianto, e quella gemma,
Che ornò tua destra, a me mostrando…
GIACOMO
(E dessa!)
Venga, ed a lei si taccia
Ch’io sono il Re. Ti attendo alle mie stanze:
Quanto voglio, saprai.
BERTRAM
Vado. (Parte).
GIACOMO
Quale distanza
V’ha dal mio core al tuo, donna! vedrai.
(Entra).
SCENA QUINTA
Bertram introduce Elena.
BERTRAM
Attendi: il Re fra poco
Ti ascolterà.
(Entra nelle regie stanze).
ELENA
Reggia, ove nacqui, oh quanto
Fremo in vederti! alle sventure mie
Tu fosti culla! assai di te più caro
Mi era l’albergo umil, dove or nel padre,
Or nell’oggetto amato
Pascea lo sguardo, e lor posava allato.
Ma qui sola! ov’è il Re? chi al regio aspetto
Mi guiderà? Se il generoso amico
Non m’ingannò, del genitor la vita,
Di Malcolm, di Rodrigo
Spero salvar… che sento!
Qual dolce suon! che amabile concento!
GIACOMO
(canta dalle sue stanze)
Aurora! ah sorgerai
Avversa ognor per me?
D’Elena i vaghi rai
Mostrarmi… oh Dio! perché?
E poi rapirmi, o barbara!
Quel don ch’ebb’io da te?
ELENA
Stelle! sembra! egli stesso! ah! qual sorpresa!
Né mi pose in obblio?
Di me si duole! e che sperar poss’io?
SCENA SESTA
Comparisce Giacomo: Elena va frettolosa ad
incontrarlo.
ELENA
Eccolo! amica sorte
Ti presenta a’ miei voti,
O generoso cor!
GIACOMO Da me che chiedi?
ELENA
Il tuo don non rammenti? ah sì, tu stesso
Mi guida al Re.
GIACOMO
Tu lo vedrai.
ELENA
Perdona
Alla impazienza mia: di un breve istante
Non indugiar: sacro dover di figlia
Al trono m’avvicina.
GIACOMO
Ebben, tu il vuoi?
E chi sa opporsi a’ desideri tuoi?
(Si appressa ad una gran porta in fondo, che
aprendosi lascia vedere quanto di magnificenza
possa comprendere la sala del trono).
SCENA ULTIMA
Bertram, Grandi e dame, che circondano il
trono, indi gli attori che verranno enunciati.
CORO
Imponga il Re: noi siamo
Servi del suo voler;
Il Grande in lui vantiamo,
Il padre ed il guerrrier.
ELENA
Ah! che vedo! qual fasto!
Ma fra tanto ov’è il Re? proni e devoti
Miro tutti, ma invano
Cerco chi sia fra questi il lor sovrano.
GIACOMO
Eppure è qui.
ELENA
Ma qual?… Stelle! ogni sguardo
È a te rivolto? il capo tuo coverto,
La piuma che dagli altri ti distingue…
Saresti mai?… gran Dio!
Deh avvera i dubbi miei…
GIACOMO
(indicando se stesso)
Il Re chiedesti? e al fianco suo tu sei.
ELENA
Tu stesso? ah! qual sorpresa! a’ piedi tuoi…
GIACOMO
Sorgi, l’amico io son: di mie promesse
Il fido esecutor; parla, che brami?
ELENA
Ah! non lo ignori… il genitor…
GIACOMO
Ebbene…
Il padre è reo, ma alla sua figlia il dono…
(Ad un suo cenno vien fuora Douglas)
Vieni Douglas… l’abbraccia… io ti perdono.
DOUGLAS
Ah figlia!
ELENA
Ah padre mio!
ELENA e DOUGLAS
Signor… deh, lascia…
GIACOMO
Obblìo
Tutto per te: tu, Lord Bothwel, riprendi
Gli stati tuoi.
DOUGLAS
Tutto il mio sangue in segno
Di grato cor…
GIACOMO
Appien contenta, il veggo,
Elena ancor non è: favella.
ELENA
Ah Sire!
I giorni di Rodrigo
GIACOMO
Egli? infelice!
Ah! non è più!
ELENA
Che ascolto! oh sventurato!
DOUGLAS
Oh amico sciagurato!
GIACOMO
Alla clemenza
Diedi abbastanza, e di giustizia or deggio
Dar rigoroso esempio. Venga Malcolm.
ELENA
Ascolta…
GIACOMO
Alcun non osi
Chieder grazia per lui.
ELENA
(Come salvarlo?)
MALCOLM
(viene tra le guardie)
(Elena! oh rio destin!)
GIACOMO
Giovane audace!
A me ti appressa: un mancator degg’io
Punire in te…
MALCOLM
Ah Prence! il fallo mio…
GIACOMO
Pietà non merta, e dell’error ben degna
Avrai tu pena.
(Depone la sua ostentata fierezza, lo alza,
lo abbraccia e gli appende al collo la sua
gemmata collana)
Ah sorgi, e questo sia
Pegno del mio favor.
Porgi la destra…
(unisce le destre di Elena e di Malcolm )
Siate felici, il Ciel vi arrida.
ELENA, MALCOLM e DOUGLAS
Oh stelle!
BERTRAM e CORO
Oh Re clemente!
GIACOMO
Altro a bramar ti resta?
ELENA
Io… Sire… qual piacer!… qual gioia è questa!
Tanti affetti in un momento
Mi si fanno al core intorno,
Che l’immenso mio contento
Io non posso a te spiegar.
Deh! il silenzio sia loquace…
Tutto dica un tronco accento…
Ah signor! la bella pace
Tu sapesti a me donar.
TUTTI col CORO
Ah sì… torni in te la pace,
Puoi contenta respirar.
ELENA
Fra il padre e fra l’amante
Oh qual beato istante!
Ah! chi sperar potea
Tanta felicità!